Una lancia spuntata
Tutti sanno chi è un freelance. C'è qualcosa da fare e allora chi ha interesse a che questa cosa sia fatta a dovere si rivolge a uno che si presume sia in grado di risolvere il problema e gli dice "se hai lavorato come si deve io ti pago e tu poi ti levi di torno e non stai a rompere con assurde richieste di stabilità del posto di lavoro, di pensione e di altre fesserie del genere". Insomma, il freelance è uno che si muove in autonomia, una specie di lupo solitario. Come Harvey Keitel in Pulp Fiction, "risolve problemi".
Tutto bene, quindi, e tutti contenti perché anche il freelance pensa di fare un buon affare, anzi si sente un professionista, uno da Partita IVA. "E' vero", dice, "c'è di mezzo la storia dello stipendio fisso e delle ferie pagate, ma pazienza, in fondo ci guadagno in termini di libertà. Niente capoufficio, niente orari rigidi, le ferie le prendo quando e quanto voglio e, a conti fatti, può darsi che io vada a guadagnare più di chi arranca dietro a un ipotetico aumento di stipendio e a una lontana pensione".
A questo punto, dal fondo della sala, si alza un omino e chiede di parlare. "Ma voi sapete cosa significa freelance?" domanda. "Sì" gli rispondono "è uno che lavora in proprio". "No" insiste l'omino "voglio dire, sapete cosa significano le due parole free e lance? Lo sapete? Significano lancia libera che sta per mercenario. Il freelance è un tale che per denaro si pone al servizio di qualcuno, detta senza mezzi termini è uno alla mercé di chi lo paga".
Quello che l'omino vuole forse chiarire è che ci sono modi di dire, e freelance è uno di questi, inventati per nascondere la verità, per fare della cosmesi a cose di cui ci si vergogna. Come quando si chiama ragazza di vita una persona costretta a prostituirsi. Lei vorrebbe sicuramente essere considerata una ragazza e vorrebbe anche vivere ma in altra maniera, salvo che non si voglia intendere che per lei l'unica vita consentita è quella che si fa andando su e giù lungo un marciapiedi. Oppure quando si chiamano naturali dei figli che ci si ostina a considerare diversi da quelli legittimi, come se la natura non avesse agito, per gli uni e per gli altri, secondo le sue leggi inderogabili.
Questi discorsi valgono anche per il freelance. Anche per lui c'è il sospetto che, chiamandolo così, gli si voglia nascondere qualcosa; allo stesso modo in cui si vuole occultare alla prostituta la vergogna di quanti la cercano, la pagano, la offendono e a un bambino venuto al mondo come tutti gli altri bambini, la vergogna di attribuirgli una valenza naturale che se non fosse ipocrita sarebbe ovvia.
"Ma", si potrebbe obiettare "molte persone sono liete di lavorare in proprio affidandosi al loro spirito di iniziativa e non amano, anche in cambio di una maggiore sicurezza, la noiosa continuità del posto fisso". "Vero, verissimo", è la risposta che darebbe l'omino "soltanto se la loro scelta fosse realmente libera come non lo è non soltanto quella della ragazza di vita ma anche quella di tanta gente che, per poter realizzare il progetto che custodisce dentro di sé, vorrebbe essere accolta e - perché no? - protetta dalla comunità in cui si trova a vivere. E ciò anche in cambio di quel tanto di "noia" che andare ogni giorno alla stessa fabbrica, allo stesso ufficio, allo stesso ospedale forse inevitabilmente comporta. Tanta gente che non vorrebbe esaurire le proprie energie nella ricerca di qualcosa che attiene soltanto alla propria materiale sopravvivenza ma vorrebbe dedicarne, almeno un po', a quella misteriosa parte di sé chiamata anima.
Perché tutto questo discorso apparentemente futile? Perché nella vita del freelance c'è un lato poco chiaro, meglio dire oscuro, dove si nasconde la realtà di un rapporto basato su "tu fai e io ti pago, poi arrivederci e grazie". Un rapporto che all'apparenza non rivela, ma ha in sé, la negazione del valore primario della collaborazione, del "fare insieme", dell'esperienza condivisa nell'ambito di progetti comuni, dell'aggregazione in realtà coerenti, siano esse la fabbrica, l'ufficio, l'azienda.
E qui riaffiora la nascosta figura del mercenario che si adatta a vivere in solitudine il suo mestiere senza gloria rinunciando al valore fondante dell'appartenenza nel momento quando si priva della solidarietà di un gruppo di fidati commilitoni con cui affrontare il pericolo, consumare il rancio e - a volte succede anche questo - avere un motivo per mettere in gioco la propria vita. Come il freelance quando rinuncia a essere parte di un piccola comunità che, nella consapevolezza di un unico destino, si ritrova unita alla catena di montaggio, alla mensa aziendale, nel consiglio di fabbrica, nel reciproco raccontarsi la vita fra compagni di lavoro, nella solidarietà delle giornate di sciopero.
Roba vecchia, si dirà. Può darsi. Oggi la società è in movimento, si organizza in base a regole diverse, tende a essere "liquida", si dirà anche. "Scusate" direbbe a questo punto l'omino sempre dal fondo della sala "se non mi sbaglio il contrario di liquido è solido. Allora, se tutto deve essere liquido perché si parla tanto, a proposito di molte altre cose, di solidità come di qualcosa di buono, di necessario? Della solidità dell'economia, delle istituzioni, della famiglia, ad esempio? Mi potete spiegare? Non è, per caso, che la società deve essere liquida soltanto quando fa comodo a qualcuno?".