World Press Photo 2017: Moderni Annali su carta patinata

Michael Hanke, Youth Chess Tournament. 

Michael Hanke, Youth Chess Tournament. 

Luogo: Palazzo delle Esposizioni

Orari: Da martedì a domenica: 10:00-20:00; Venerdì e sabato: 10:00-22:300; Lunedì chiuso.

Periodo: dal 28 Aprile al 28 Maggio 2017

Prezzo: Intero 12,50 euro; Ridotto 10,00 euro (Il biglietto è valido per tutte le mostre in corso)

Dal Pakistan di Jamal Taraqai alla Cuba di Tomas Munita, dagli Stati Uniti di Jonathan Backman alle Filippine di Daniel Berehulak, sono questi alcuni degli scatti premiati nell’edizione 2017 della World Press Photo, che sarà possibile visitare al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 28 aprile al 28 maggio, i quali ci restituiscono una “waste land” divisa tra le epidemie di Zika e la povertà degli slum brasiliani, tra gli sfollati ai confini dell’Ucraina e le lotte al bracconaggio.

Non solo uomini dunque, ma luoghi che si trasformano in palcoscenico delle azioni umane, come nel caso della foto dell’anno, scelta nella categoria “Spot News Stories”, del fotografo turco Burhan Ozbilici. L’immagine, realizzata ad Ankara il 19 dicembre 2016, mostra l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, da parte del poliziotto turco ventiduenne Mevlut Mert Altintas durante l’inaugurazione di una mostra d’arte. Gesto che contribuirà a rendere ancor più tese le relazioni diplomatiche tra Russia e Turchia, a seguito del sostegno alle opposte fazioni nella guerra in Siria.

“È stata una decisione molto difficile, ma alla fine abbiamo ritenuto che la foto dell’anno dovesse essere un’immagine potente che parla dell’odio dei nostri tempi”, ha così commentato la fotografia vincitrice Mary F. Calvert, membro della giuria.

 

Burhan Ozbilici, “An Assassination in Turkey”.

“Ogni volta che quella immagine appariva sullo schermo dovevamo fermarci, era talmente forte che abbiamo davvero sentito che poteva incarnare la definizione di ciò che il World Press Photo of the Year rappresenta”, ha così spiegato Mary F. Calvert, membro della giuria.

 

Non solo sfondo insomma, in cui inserire dei corpi che totalizzano la scena, ma luoghi-teatro capaci di dialogare a pari con la figura umana, come avviene negli scatti di Marcus Jokela e Daniel Berehulak.

Il primo disegna la fisionomia di Table Rock, un punto di noia nel cuore del Nebraska. Classificatosi terzo nella categoria “Long-Term Projects”, Jokela tratteggia una delle vaste periferie americane, deserte forse ancor più che nello spazio nel tempo; dove -ci insegna il “Nebraska” portato su grande schermo da Alexander Payne- per sfuggire al quotidiano è necessario immaginarsi vincitori di qualche fantomatica lotteria. 

Marcus Jokela, “Table Rock, Nebraska”.

Marcus Jokela, “Table Rock, Nebraska”.

Marcus Jokela, “Table Rock, Nebraska”.

Daniel Berehulak, primo classificato nella categoria “General News – Stories” con “They Are Slaughtering Us Like Animals”, ci porta invece nelle strade governate dal Presidente delle Filippine Rodrigo Duerte, il quale prima da sindaco di Davao, poi da Presidente in carica ha dichiarato una lotta senza quartiere al traffico di droga. Una guerra al crimine condotta con l’aiuto degli squadroni della morte e dei vigilantes, che ha portato Amnesty International a denunciare le sempre più numerose esecuzioni sommarie e gli omicidi senza nome all’interno del paese.

Daniel Berehulak, “They Are Slaughtering Us Like Animals”.

Daniel Berehulak, “They Are Slaughtering Us Like Animals”.

Scattate ai crocicchi di Manila e Quezon, le fotografie di Berehulak ci restituiscono un paese dalle tinte distopiche, simili alla Los Angeles di Blade Runner immersa in una pioggia perenne, dove la notte abbraccia indistintamente i neon, gli uomini e il metallo.

Daniel Berehulak, “They Are Slaughtering Us Like Animals”.

In questa corrida delle miserie umane dove si avvicendano gli avvocati in sangue del Pakistan (Jamal Taraqai) e le Pietà dell’Afghanistan (Paula Bronstein), trovano spazio anche fotografie dai toni maggiormente distesi e meno aspri, come avviene per il reportage sulla comunità Koreana-Maya del Messico (Michael Vince Kim) o ai ritratti in stile Vogue degli Olimpionici californiani (Jay Clendenin), fino agli scatti sul moderno Iran di Hossein Fatemi (al centro di alcune accuse di plagio e falso) e a quelle naturalistiche di Amy Vitale e Najan Khanolkar.

In questa 60° edizione del Premio sono quattro i fotografi italiani vincitori: Giovanni Capriotti con “Boys Will Be Boys” (primo classificato nella categoria Sports- Stories), Antonio Gibotta con “Enfarinat” (secondo classificato nella categoria People – Stories), Alessio Romenzi con “We Are Not Taking Any Prisoners” (terzo classificato nella categoria General News – Stories) e Francesco Pomello con “Isle of Salvation” (Terzo classificato nella categoria Daily Life – Stories).

Jay Clendenin, Olympians.

Jay Clendenin, Olympians.

Moderni Annali su carta patinata, le fotografie della World Press Photo fungono da memoria collettiva, attestandosi come documenti storici della nostra epoca. Pertanto si consiglia la mostra a chiunque soffra di malamemoria; a chi voglia risalire il fiume del tempo e dello spazio, come Marlow; al sociale e all'antisociale, che avrebbero così di che parlare; al depresso, per passare in rassegna le storture del mondo; e all’ottimista, per sentirlo esclamare che, in fondo, potrebbe sempre andar peggio nel migliore dei mondi possibili.

Voto amletico: 7/10