Apologia di un prete. Don Ciotti, un incontro importante.
Don Luigi Ciotti si può definire un prete di strada fin da quando l’arcivescovo di Torino, cardinale Pellegrino, gli affidò come “parrocchia” la strada e la cura degli ultimi che negli anni ‘70 erano principalmente i senza fissa dimora e i tossicodipendenti. Per venti anni si occupò di questi problemi finché negli anni ’90 esplosero in Italia le questioni legate al dilagare delle organizzazioni criminali e don Ciotti se ne occupò con la stessa energia e sempre con l’intenzione di trasformare il male in bene.
Per chiarire meglio il suo impegno su queste tematiche occorre evidenziare che nel 1982 furono introdotti dalla legge Rognoni - La Torre il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso ed Il sequestro e la confisca dei beni alle mafie la cui approvazione costò la vita al deputato Pio La Torre. Tale normativa consentì allo Stato di colpire con efficacia le organizzazioni criminali anche mediante la celebrazione di un maxi processo che non aveva precedenti, iniziato nel 1986 e conclusosi nel 1992 con numerose condanne all’ergastolo e pene detentive.
La reazione mafiosa avvenne lo stesso anno con le stragi Falcone e Borsellino e nel 1993 con gli attentati di Firenze in via dei Georgofili, nei pressi della Galleria degli Uffizi e, dopo il forte discorso contro la mafia di papa Giovanni Paolo II ad Agrigento, che ebbi modo di ascoltare direttamente in quanto ero lì per servizio, seguirono gli attentati alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma di cui in questi giorni si è commemorato il trentennale.
In relazione a tale situazione si diffuse nella società civile e nella Chiesa una forte volontà di reagire a quel clima di paura e prepotenza ed è in questo contesto che nel 1994 nasce, ad opera di don Ciotti, l’associazione LIBERA, associazione di associazioni contro le mafie, diffusasi poi in tutta Italia.
Nel 1995 LIBERA promuove una petizione popolare, con oltre un milione di firme, che porta all’approvazione della legge 109/1996 con la quale si stabilisce che i beni confiscati sottratti ai mafiosi anziché essere venduti, col rischio che possano tornare nelle mani dei mafiosi, devono essere destinati allo Stato per esigenze di natura pubblica (di sicurezza, sanitarie, culturali ecc.) oppure assegnati ad associazioni senza scopo di lucro per finalità sociali come la realizzazione di case famiglia o se si tratta di terreni per la coltivazione da parte di cooperative sociali col vantaggio di offrire lavoro legale ai giovani in territori che presentano alti livelli di disoccupazione.
Tuttavia, poiché in quegli anni la gestione e la destinazione dei beni confiscati da parte dell’Agenzia del Demanio presentava difficoltà dovute sia a carenze di professionalità in relazione alla complessità tecnica della materia, sia alla inopportunità che personale civile si rapportasse con ambienti malavitosi fortemente determinati ad opporsi alla consegna dei beni, per superare tali problemi venne costituito, soprattutto su pressione di LIBERA, il Commissario Straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, struttura formata anche da rappresentanti delle forze di polizia, alla quale fui in servizio dal 2001 e dove nell’ambito dei contatti con le associazioni interessate conobbi don Ciotti ed ebbi modo di verificare la sua profonda umanità, la sua conoscenza delle questioni sociali e la sua capacità di trasmettere passione umana e civile tanto da rappresentare ancora adesso un punto di riferimento dell’antimafia ed un obiettivo per le organizzazioni criminali per cui è sottoposto da tempo alla scorta.
Il suo essere anche sacerdote non emerge mai come una caratteristica predominante nella sua quotidiana attività ma la sua religiosità cristiana traspare nella passione umana che vede nel prossimo, qualunque esso sia, il centro dell’attenzione. La capacità di trasmettere calorosamente i valori di solidarietà, di giustizia e di pace è il tratto che lo distingue e per cui, tempo fa, un politico con tono sarcastico lo definì un Savonarola.
Il mio augurio è che ve ne siano molte di persone così, sia nel mondo laico che religioso ed in particolare in chi fa politica, dove invece della passione civile spesso prevale l’interesse privato, il calcolo del ritorno politico immediato e dove lo scarso livello culturale e umano dei “rappresentanti del popolo” conduce al paradosso che “personaggi” di questo modesto spessore si rivolgano a persone della levatura di don Luigi con insulti e assurdità senza mostrare alcun imbarazzo.
Per quanto mi riguarda l’incontro con don Luigi resta senza dubbio uno di quelli più importanti e formativi che nella vita abbia fatto.