Banksy: la mostra del dissenso

Fino all’11 Aprile 2021 il Chiostro del Bramante ospita Banksy e, se si ha un po’ di familiarità con l’argomento, prima di prenotare il biglietto online (non obbligatorio, ma consigliatissimo), un paio di domande te le fai: è giusto ingabbiare così la libertà di espressione? Voglio andare a vedere le sue opere, ma se ci vado, divento automaticamente un oppositore? La questione è molto delicata. Tutti i lavori esposti provengono da collezioni private, sono tutti pezzi autenticati da Pest Control, l’ente che dal 2009 certifica l’ufficialità delle sue opere concepite unicamente per la vendita, precisa il sito del Chiostro.

Banksy mantiene l’anonimato, sia per una questione di sicurezza – perché “la street art non è un crimine”, ma non per la polizia – sia per motivi di etica personale: “Non ho il minimo interesse a rivelare la mia identità. Ci sono già abbastanza stronzi pieni di sé che cercano di schiaffarvi il loro brutto muso davanti”, ha detto l’artista. In un mondo dove fare mostra di sé sembra essere un iter obbligatorio per certificare la propria esistenza, Banksy grida “l’invisibilità è un super potere”: sovversione tout court

Lui è l’unico a certificare la sua arte sui muri tramite l’omonimo profilo Instagram, dove posta i suoi lavori e ne reclama la firma. In una vecchia intervista rilascia un commento tanto scomodo quanto vero: l’arte che vediamo è scelta da una casta, poche centinaia di persone decretano il successo di un’opera o meno. Non è la gente a scegliere: “quando si visita una galleria d’arte si è solo dei turisti che osservano la vetrinetta dei trofei di qualche milionario”, ha affermato.

Da qui, e non solo, la scelta della street art, un’arte di tutti e per tutti, diretta, immediata. Non sempre di rapida interpretazione, gli stencil di Banksy hanno questa straordinaria capacità di portarti lì dove vuole, di farti arrivare al punto, al motivo della loro realizzazione, non ci sono spiegazioni, qualche slogan ogni tanto, che rafforza il senso, già così prepotentemente presente, dei suoi disegni. Molte sue opere approcciano lo spettatore a livello ironico, satirico, è il primo livello di fruizione, dal quale ti lanci verso l’amara realtà che ti mette davanti: il sorriso con il quale spesso il processo inizia, scende, scema, e l’amaro sale in bocca senza via di fuga. 

La mostra si apre con la celeberrima Girl with balloon, la bambina con il palloncino a forma di cuore, seguita da Welcome to Hell e Laugh now but one day we’ll be in charge: topi e scimmie dunque, il bestiario simbolico della condizione umana; i topi, rappresentazione delle classi sociali più basse, cacciate, discriminate, non volute, ed emblema degli street artists per antonomasia; le scimmie, non tanto lontane da noi, né per volontà Darwiniane, né per capacità sociopolitiche, dov’è l’evoluzione infine?

Animali da difendere anche, come il leopardo di Barcode, uno dei primi stencil da lui realizzati e portavoce della crudeltà del traffico illegale di quei silenziosi innocenti.

Banksy non risparmia nessuno, neppure il proprio paese. Anzi. La stampa e il governo inglesi criticarono e poi fecero levare un suo murales da un locale, pena il taglio dei fondi dello stesso, perché troppo irriverente per il Giubileo d’oro della regina. Ah, il nome della serigrafia è Monkey Queen...

La sala successiva accoglie alcune delle sue opere più famose e più apertamente critiche nei confronti delle politiche mondiali. Meravigliosamente agghiacciante è Napalm, evidente accusa lanciata contro un mostro difficile da contrastare, il gigante del consumismo; le allegre mascotte del capitalismo mondiale tengono per mano con sorrisi aberranti la vittima icona della guerra più sbagliata che l’America potesse dichiarare.

Di simile natura è Christ with shopping bags, emblema della superficialità del Natale odierno, della fragilità dei valori di fronte alla frenesia consumistica delle feste, della vittoria e potenza dei beni materiali sulla spiritualità dell’essere umano.

In questo stesso spazio Smiling Cop, HMV, Grin reaper, Have a nice day, Flag, Golf sale, sono portatori di storie più legate alla politica militaresca dei vari stati, in primo piano Pax Britannica (Wrong War), protesta visiva alla guerra vista come unico mezzo per la pace – pezzo di una mostra sponsorizzata dalla coalizione di origine britannica “Stop the War” – il cui slogan “Wrong War” verrà riutilizzato da Banksy per mostrare la sua opposizione al conflitto in Iraq e alla guerra del 15 Febbraio 2003.

L’ultima parete della sala ospita il ben noto Pulp Fiction e Queen Vic, un altro attacco all’ipocrisia del perbenismo britannico erede del bigottismo della sua icona più illustre. Allo stesso filone appartiene la serie delle Soup Cans, riferimento lampante alle opere di Warhol; ma qui Banksy attacca uno specifico marchio: la catena di supermercati britannica Tesco.

Una stanza più piccola alberga un’installazione che, in modo semplificato, riproduce un progetto più grande. Si tratta del Gross Domestic Product, un negozio di casalinghi creato in una notte e aperto per sole due settimane dall’artista nel 2019. Non accessibile al pubblico, ma teatro di opere di denuncia alle politiche europee per l’immigrazione.

Girato l’angolo ci si imbatte in una serigrafia dal carattere differente: è parte di una serie di 14 disegni murali realizzati a New Orleans dopo le terribili inondazioni dovute all’uragano Katrina nel 2005, Nola (White Rain), indimenticabile e bellissimo, è l’unico dei 14 rimasto nella città.

Salendo le scale ci si imbatte nei lavori che hanno visto Banksy protagonista della scena musicale, dalla quale inizia e alla quale rimane molto legato, e poi un colpo di genio, Peckham Trolley, un quadretto piccolo piccolo che l’artista ha posizionato clandestinamente all’interno del British Museum. Successivamente, acquistato da quest’ultimo ed esposto con la didascalia originale: “Questo esempio finemente conservato di arte primitiva risale all’era post-catatonica e si ritiene descriva l’uomo primitivo mentre si avventura verso il terreno di caccia fuori città. L’artista che ne è l’autore è noto per aver creato un corpus consistente di opere in tutta l’Inghilterra sudorientale con lo pseudonimo Bansksymus Maximus, ma si sa poco di lui”.

Un video proiettato su due pareti – su una il disegno totale, sull’altra il particolare – mostra gli stencil nei loro luoghi originali. Piccoli topi antropomorfi che passano quasi inosservati, figure umane di pittura a grandezza naturale che si mischiano tra la folla dei vivi e grandi personaggi emblemi di proteste. Ognuno di loro visita un diverso luogo del mondo, ognuno di loro è figlio del contesto che l’ha ispirato. Tutti partoriti dalla mente e dalle mani di un talento incredibilmente unico, il quale, alla fine, con una scritta dichiara “un muro è un’arma molto potente”.

L’ultimo salone accoglie la parata di stencil finale: la dissacrante cresta punk verde di Churchill, inno antiestablishment di Turf War, la ricorrente offensiva nei confronti del golem britannico dei supermercati Tesco di Tesco Petrol Bomb e le accuse alle politiche sociali di Jack & Jill, scelto come manifesto della mostra stessa, sono tra le ultime opere che vedrete durante la visita.

Una visita in cui partecipi col cuore a quelle lotte e per le quali, a volte, ti senti anche un po’ chiamato in causa. Una visita che apre la mente e rimescola le carte della tua quotidianità. Una visita che ti lascia con un unico interrogativo: prossima vacanza, tour di Banksy?

ArteMartina LanaMostraComment