Canova, lo scultore che ha reso eterna l'arte in tutte le sue forme
Nessuna luce è accesa nelle sale del Museo di Palazzo Braschi a Roma. Tutto è chiuso, non si può più entrare. Sono rimaste solo le statue di Antonio Canova, portate lì per la mostra "Eterna bellezza". Solo un timido bagliore da fuori le illumina, proprio come accadeva una volta.
È il 1818. Canova è appena tornato a Possagno, la sua città natale. È lì per costruire un tempio sul modello del Pantheon di Roma e del Partenone di Atene. Un'opera che possa essere ricordata in futuro. Ma non è l'unico lavoro di Canova. Sta anche continuando a scolpire statue: sta lavorando all'Endimione dormiente.
Fuori è buio. I collaboratori hanno appena finito di sbozzare il marmo. È rimasto solo lui nel suo studio. Lui, le sue statue e un lume di candela. Ama scrutarle con quella luce, che le rende più vive e gli permette di garantire una resa perfetta dei volumi e delle ombre. Ma non basta.
Mentre scolpisce ha con sé anche l'Odissea. Legge e scolpisce. Il mito a cui sta lavorando è quello del pastore Endimione e Selene. La bellezza del giovane incanta la Luna (Selene in greco) che chiede al padre Zeus di addormentarlo per sempre e regalargli l'eterna giovinezza. Ma più Canova tira fuori dal marmo le figure, più si logora il corpo.
Sta scolpendo con uno dei primi trapani, ma è a mano. Una parte preme sul costato, l'altra tocca la superficie da modellare. Antonio Canova non si ferma. Sente dolore, ma deve proseguire. Per lui c'è solo la scultura. Non ha famiglia né figli, ma ha un immenso amore per l'arte. Il trapano continua il suo lavoro: sbozza una nuova opera, ma allo stesso tempo scolpisce anche lui. Indelebilmente. Quella pressione gli provoca un'occlusione allo stomaco, che lo porterà a morire. Le statue a cui ha dato vita si sono prese la sua. Ma l'avrebbe fatto a ogni costo, per rendere eterno quello che lui vedeva e che voleva rimanesse scolpito per sempre.
Il legame tra Canova e le sue opere è indissolubile. Ma anche i committenti si innamoravano dei suoi lavori. È il caso della Musa Tersicore, la protettrice della danza e del canto corale presente alla mostra "Canova, eterna bellezza". Il committente Giovanni Battista Sommariva la chiamava “mia Sposa” e l’aveva collocata ai piedi del suo letto, assecondando il gusto per la sensualità tipico dell’Ottocento. L'aristocrazia e la borghesia nascente non potevano infatti apprezzare apertamente corpi di donne nude, per questo si circondavano di opere d’arte dalla forte carica erotica.
Un'altra statua sensuale è quella della Maddalena penitente. Del suo corpo si vedono collo, braccia, gambe e si intravedono i seni. Ma non perde il religioso dolore: nelle mani regge un crocifisso, al suo fianco c’è un teschio e dal volto cadono lacrime, le stesse della Dafne di Bernini che Canova ammirava a Villa Borghese. Nella scultura c’è tutto il contrasto tra il fascino di un corpo ancora attraente, espressione della vita e della sensualità, e il suo annientamento nella consapevolezza del peccato e dell'invocazione del perdono divino.
Altra occasione che si ha nel percorso espositivo, è quella di vedere ricreata la Sala dei Paragoni. Nel Salone di Palazzo Parafava a Padova erano esposte nell’Ottocento quattro statue che si richiamano a coppie: l’Apollo del Belvedere opposto al candivano Perseo trionfante e il gladiatore borghese di fronte al Creugante, uno dei due pugilatori. Poste su piattaforme girevoli, le statue ruotano creando un vorticoso effetto di movimento, che le rende ancor più vive.
Ma c’è una statua che attira lo sguardo più delle altre: è la Danzatrice con mani sui fianchi. In una sala piena di specchi, l’opera si può ammirare in ogni sua sfaccettatura. Si dice che le ballerine la osservassero per trovare ispirazione. Canova conosceva bene i loro movimenti, perché amava il balletto e andava spesso a teatro. E nel marmo ha imprigionato non solo il corpo, ma anche la musica. Una scultura che si può guardare e ascoltare. Perché Canova ha reso eterna l’arte in tutte le sue forme.