"Emilia": Le metamorfosi dell'amore
Assunta per accudire e dare il proprio amore, poi abbandonata e lasciata al suo dolore.
Prezzi: intero da € 12 e € 32
Autore e regista: Claudio Tolcachir
Inizia lo spettacolo, ma la platea rimane illuminata da un chiarore crepuscolare. Un fascio di luce proiettato sul soffitto del Teatro Argentina dà l’illusione di avere una vetrata sopra il capo, come se si fosse all’interno della Galleria Alberto Sordi e non in sala. Platea e palcoscenico si confondono, sino a diventare un tutt’uno. Il raggio di luce si muove poi repentinamente, illuminando la scena e finendo per coprire gli spettatori di un velo d’oscurità.
Walter, sua moglie Carolina e loro figlio Leo hanno appena terminato il trascolo; l’abitazione è ancora in disordine, ma non possono rifiutare la visita di Emilia, la tata persa di vista da oltre vent’anni, che ha cresciuto il bambino oramai diventato uomo.
Con il suo arrivo cominciano a riaffiorare i ricordi. Dietro l’attuale sicumera e felicità ostentata da Walter, Emilia inizia a svelarne le debolezze e le tristi esperienze del passato: la balbuzie, la solitudine, l’emarginazione, la mancanza di affetto. E infine ricorda anche il momento in cui fu costretta a lasciare la casa dove lo aveva cresciuto, abbandonata dopo tutto l’amore che aveva manifestato.
A questo punto la situazione si capovolge. Arriva il momento dell’abbandono anche per Walter. La svolta coincide con la visita di Garbiel, il precedente marito di Carolina, nonché padre biologico di Leo. Gabriel riaccende la passione dell’amata e riacquista la fiducia del figlio, che decidono di lasciare Walter, a dispetto di tutto l’amore che aveva mostrato loro, nonostante i sacrifici e le difficoltà che aveva affrontato. Si ritrova pertanto solo, in una casa stracolma di scatoloni ricchi di oggetti, ma senza nessuno che li possa ricevere. La sua dimora diventa metafora della sua persona: colmo d’amore, ma senza nessuno a cui darlo. Nel momento dell’abbandono, la sua disperazione si sviluppa, cresce, aumenta, fino a condurlo al tragico finale.
Il regista argentino Claudio Tolcachir analizza il modo in cui muta il sentimento dell’amore, mettendolo in relazione con le conseguenze dell’abbandono. Attraverso Emilia indaga su ciò che “succede a tutte quelle persone che dedicano la loro vita a prendersi cura di una famiglia in cui non c’è più bisogno di loro”. E per farlo si serve di una nutrice e di un marito (nonché padre) abbandonati; figure che finiscono per avere la stessa sorte: qui gladio ferit gladio perit.
L’ispirazione che conduce il regista a scrivere quest’opera nasce dall’incontro con la sua tata: una persona che ricordava nei minimi dettagli la sua infanzia, e ancora capace di dimostrargli il suo affetto. Un sentimento che suscita imbarazzo, perché incapaci durante la tenera età di mettere da parte tutte quelle informazioni, di coltivare lo stesso tipo di amore.
Lo spazio scenico è ben calibrato, Paola Castrignanò realizza un ambiente intimo dove i baùli del trasloco costituiscono allo stesso tempo i confini e le scale dell’abitazione, in uno spazio idealmente suddiviso in più piani, senza barriere. Come i tempi scenici, in cui passato, presente e futuro si sovrappongono senza limiti: i ricordi si agganciano al presente e bagliori fugaci dal futuro fanno capolino nel momento vissuto dai protagonisti.
Per mettere in scena il testo, Tolcachir si affida a Sergio Romano per interpretare Walter, ruolo attraverso cui l’attore riesce con feroce realismo a evidenziare il vortice d’emozioni in cui viene trascinato il suo personaggio; Josafat Vagni per Leo, il quale regge il confronto con i suoi più esperti colleghi con disarmante disinvoltura; Pia Lanciotti nelle vesti di Carolina, donna fascinosa e triste, che usa l’arma dell’insoddisfazione per manipolare la felicità del marito, ma la sua prova appare spenta, impalpabile; Paolo Mazzerelli per Gabriel, cui l’attore conferisce forza e fragilità; e infine Giulia Lazzarini, nel ruolo chiave di Emlia, la quale indubbiamente trasmette con efficacia i diversi stati d’animo del suo personaggio, senza però mai avere negli occhi quella particolare luce nei confronti del bambino (ormai uomo) che aveva cresciuto, quell’emozione verso una persona cui si è dato tutto, persino più del proprio figlio.
Seppur i tempi scenici non siano scanditi alla perfezione (la parte iniziale risulta sbilanciata rispetto al proseguimento, dove tutto accade precipitosamente), lo spettacolo rapisce per i temi indagati e per il valore dato al ricordo.
Souvenir (come la parola invalsa per descrivere gli oggetti legati ad un particolare luogo), parte integrante e collezione pregiata della nostra esistenza. Da angusto ripostiglio della nostra mente, finiscono nel tempo per assumere le dimensioni di un museo, invadendo la nostra vita e diventando infine più numerosi delle esperienze vissute.
Interpreti: Giulia Lazzarini (Emilia); Sergio Romano (Walter); Pia Lanciotti (Carolina); Josafat Vagni (Leo); Paolo Mazzarelli (Gabriel)
Scena: Paola CastrignanòCostumi: Gianluca Sbicca
Luci: Luigi Biondi
Regista collaboratrice: Cecilia Ligorio
Produzione: Teatro di Roma – Teatro Nazionale