“Famiglia” al teatro India: dove la suspance lascia spazio ai sentimenti
Su un palco spoglio e poco illuminato compare un uomo. È sulla quarantina, ha occhi gelidi ma non abbastanza da celare tutta la rabbia e il rancore che porta dentro. “Ho bisogno di un padre! Dov’è mio padre?? Sei forse tu mio padre?! Dai monta sul palco vieni qua!”. L’accento romano rende ancora più drammatico e sofferente il grido di dolore e di aiuto. E la magia non si spezza, quando alle spalle in controluce riemerge il ricordo: la figura di quel padre. Il primo legame familiare entra in scena. Famiglia è appena iniziato.
Questo è infatti il titolo dell’opera teatrale dal 16 al 20 gennaio al teatro India di Roma. Un elegante e profondo spettacolo diretto da Valentina Esposito, che con l’associazione FortApache, da oltre dieci anni, si occupa delle attività di inserimento sociale attraverso il teatro dei detenuti del carcere di Rebibbia.
In pochi minuti è quasi tutto chiaro: un quadro familiare che attraversa tre generazioni, la bellezza familiare e conviviale di condividere i momenti importanti della vita, come un matrimonio; ma anche il gioco delle parti, che dei dialetti fa mezzo per collegare visioni del mondo, pregi e vergogne. È però solo attraverso tutti gli 80 minuti di spettacolo che si riesce a capire sempre di più l’importanza di quel complesso gomitolo di legami che chiamiamo famiglia.
L’immagine dell’unione familiare non scade mai nella banalità. Pur mettendo in scena spesso il già visto, come i parenti defunti che da fantasmi guardano l’evolversi delle vite dei loro figli, l’intensità drammatica e la profondità espressiva di un cast davvero eccezionale (primo su tutti il grandissimo Marcello Fonte) rendono Famiglia uno spettacolo nuovo, inedito e sorprendente. C’è infatti un’intima connessione tra la storia dell’associazione FortApache e il concetto stesso di Famiglia.
Le musiche, di cui talvolta lo stesso Fonte si fa creatore imbracciando una fisarmonica, contribuiscono ad arricchire l’atmosfera di folklore, di colore, di realtà, trascinando lo spettatore in mezzo alle danze di un matrimonio del sud o tra le battute e i chiacchericci di famiglia a bordo della pista da ballo. Le melodie conducono chi guarda dentro le emozioni dei personaggi, che non sono mai personali ma sempre condivise, di gruppo, di famiglia appunto.
Non una semplice storia ma più un ritratto. Un teatro che prima ancora di raccontare vuole mettere in scena per mostrare, per coinvolgere, per emozionare. Il taglio scelto dalla regista appare essere proprio quello di mettere in secondo piano la vicenda dell’incidente e le motivazioni della rabbia di un figlio verso il padre. La suspance lascia spazio ai sentimenti, alla bellezza forse. Una scelta così efficace al punto di far dimenticare la vicenda clou, che talvolta si vorrebbe completamente fuori dal racconto.
Famiglia dimostra che non c’è sempre l’esigenza di avere un movente, o un gancio cui far appendere aspettative e curiosità degli spettatori. Dimostra che a teatro si può anche raccontare per raccontare, empatizzare e lasciarsi trasportare.
Info spettacolo: qui.