Friedrich Dürrenmatt, “Minotauro”
Dürrenmatt risveglia il Minotauro dalla notte dei tempi in cui si colloca la sua genesi e ce lo presenta non come la violenta creatura che siamo stati abituati a vedere attraverso gli occhi di Teseo, ma moltiplicandolo mille e mille volte, riflettendo la sua immagine in un labirinto di specchi: lo vediamo finalmente nella sua tragedia di creatura sola, spaesata, ignara e, alla fine di tutto, innocente.
Pur trasportato da un tempo ed un luogo remoti, il Minotauro comunica con noi con una chiara intelligibilità, parlando il più inaspettato e più universale dei linguaggi: la danza. Il Minotauro danza, danza, e ci commuove poiché solitamente danzano le creature leggiadre ed aggraziate, mentre qui danza il mostro.
Il Minotauro danza e ci seduce, poiché la danza è anche il linguaggio sensuale e forte del corpo. È chiaro che il Minotauro di Dürrenmatt, che a noi ignoranti contemporanei deve parlare, non possa farlo con le parole: sarebbe anacronistico, perderebbe il suo valore universale (non come quei recentissimi e ridicoli Patroclo e Achille che si esprimono come due odierni teenager un po’ cretini).
Dürrenmatt è un genio, il suo Minotauro risolve la necessità di comunicazione con noi lettori con la coreutica ed infatti egli danza, egli danza! Trascinati nel movimento del Minotauro danzano anche tutti gli altri personaggi e forse anche noi lettori sentiamo un impulso nelle membra apparentemente inspiegabile, è straordinario.
Avremmo mai pensato che il feroce mostro potesse farlo? Avremmo mai pensato che potessimo maledire l’arrivo di Teseo - quando prima lo benedicevamo -, che potessimo tremare vedendo tendersi il filo al pensiero del suo comparire quando invece, prima, temevamo di sentire il muggito agghiacciante e di scorgere le corna tremende? Pensavo di leggere una ballata ma, come chiarisce Donata Berra nel suo scritto finale, ho letto un balletto (uno dei più belli cui abbia mai assistito).
Non che fosse necessaria l’enunciazione di Berra, il testo è chiarissimo, la musica è inconfondibile, le movenze lo sono, è tutto cristallino sotto la luce degli astri e persino ripetuto negli infiniti riflessi per la comprensione anche del più ottuso fra noi.
Dopotutto, Dürrenmatt aveva proprio pensato ad “Un balletto” come sottotitolo della sua opera, come si scopre. Ancora una volta Dürrenmatt - autore prediletto - si appropria del mito e ce lo rende nuovo pur lasciandolo intatto, poiché così fa un grande scrittore, così. Il suo Minotauro ha risvegliato i miei entusiasmi sopiti, lo adoro, ha in sé le grandi contraddizioni degli spiriti grandi e, per questo, è più uomo di quell’uomo che della bestia porta la maschera.
P.S. I disegni dello stesso Dürrenmatt sono bellissimi, non è difficile (anzi diventa auspicabile) immaginarli come bozzetti per un’eventuale adattamento del testo in forma di balletto.