Il Corriere (The Mule) - L’ultima fatica di Clint

 
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Lo scorrere del tempo è un’arma a doppio taglio: ci permette di fare e vedere cose nuove, di crescere grazie alle esperienze che da queste inevitabilmente derivano, nonché di essere testimoni di pezzi di storia ed ammirare personaggi che entrano nel mito; di contro, il tempo distrugge ciò che crea, e mano a mano ci sottrae ciò che vorremmo non finisse mai. Da questo punto di vista, il cinema è da sempre uno dei più impietosi esecutori della sua crudele attitudine: film dopo film, la nostra vita è scandita dalle albe e dai tramonti dei suoi migliori interpreti, che siano davanti o dietro le lenti della cinepresa. Ci fa appassionare ai personaggi, alle storie e al fascino della leggenda che avvolge i pochi destinati ad essere riconosciuti come i più grandi, fino al momento in cui improvvisamente ci mette di fronte al fatto che la loro immortalità è frutto della nostra immaginazione ed è tale solo entro i confini del grande schermo. Tuttavia, così come il tempo rende mortali nel corpo, così il ricordo può rendere immortali nel tempo: e non v’è dubbio che Clint Eastwood sarà ricordato nelle generazioni avvenire come uno dei volti che più hanno segnato la storia della Settima Arte.  Guadagnatosi la fama internazionale come tenebroso e seducente protagonista di molti film western e polizieschi, è da regista che Eastwood ha saputo tirare fuori il meglio di sé: profondo indagatore della complessità della natura e dei sentimenti umani, ha saputo raccontare storie drammatiche cariche di un realismo senza eguali. Le sue pellicole si caratterizzano per la fotografia sempre impeccabile e per le inquadrature cariche di tensione che non possono fare a meno di imprimersi nella mente dello spettatore. Inoltre, rappresentano un inno alla libertà di pensiero e all’arte come ricercatrice di verità: lui, Repubblicano da sempre, con Million Dollar Baby e Changeling ha portato ad un livello superiore di forza e dignità il ruolo da protagonista di una donna; con Gran Torino ha affrontato con coraggio e passione il tema dei pregiudizi legati alle minoranze etniche; con Flags Of Our Fathers e Lettere Da Iwo Jima ha sorpassato la retorica patriottica della cinematografia a stelle e strisce, ricordandoci come in certi casi sia necessario guardare il Mondo da una prospettiva diversa per poter comprendere la Storia e i suoi momenti più bui. 

Ora, salvo ripensamenti, siamo arrivati alla fine della sua irripetibile carriera, i cui titoli di coda coincidono con quelli di The Mule - Il Corriere. Il film, tratto dalla vicenda realmente accaduta di Leo Sharp, narra la storia di un anziano floricoltore, Earl, che tra gli anni ‘90 e inizio millennio aveva riscosso un buon successo dalla sua attività ma, restio a cogliere le opportunità offerte dal nascente mercato digitale, aveva visto andare in fumo tutti i suoi sforzi. Sforzi che gli erano costati tutto, compresi gli affetti familiari: la moglie Mary lo aveva lasciato e la figlia, che non a caso porta il nome di un fiore, Iris, aveva smesso di parlargli quando lui per partecipare ad una fiera locale, si era “dimenticato” del suo matrimonio. Nel tempo presente troviamo un Earl ormai definitivamente in bancarotta, che carica le poche cose che gli sono rimaste sul suo inseparabile pickup e decide di andare a far visita alla ex-moglie; lì trova ad accoglierlo l’unica persona della sua famiglia ancora disposta a dargli credito, sua nipote Ginny, che infatti lo invita ad entrare e ad unirsi alla festa che ha organizzato con gli amici per il suo imminente matrimonio. Tra i vari invitati Earl si ritrova a parlare con un ragazzo di origini ispaniche, al quale racconta la sua vita da floricoltore che lo aveva portato a girare la quasi totalità degli Stati Uniti, con il piccolo vanto di non aver mai preso una contravvenzione in tutta la sua carriera. Proprio questo dettaglio spinge il ragazzo ad avvicinarlo nuovamente quando Earl sta per ripartire, proponendogli di contattare dei suoi amici che gli avrebbero volentieri dato dei lavori da svolgere così da poter tirare su qualche soldo: inizialmente scettico, Earl si rende ben presto conto che nella sua situazione non ha molte altre possibilità di guadagnarsi qualcosa da vivere, e non è certo uno abituato a star fermo. Il giorno dopo si presenta all’indirizzo che gli è stato comunicato e si ritrova col muso del pickup rivolto verso la serranda chiusa di un garage. Quando finalmente questa si apre, dal suo interno si palesano degli energumeni armati fino ai denti che gli intimano di portare dentro la macchina. Caricano nel pianale una piccola borsa e gli spiegano che il lavoro è semplice: lui porta il pickup all’inidirizzo prestabilito, scende lasciando le chiavi inserite e dopo qualche minuto torna e trova i soldi dentro una busta nel cassetto del lato passeggero. 

Tutto fila liscio, un gioco da ragazzi. Earl pensa di aver trovato il lavoro perfetto, viaggiare in macchina e fare soldi facili. Ad ogni carico le borse aumentano così come le dimensioni della busta che trova al suo ritorno. Senza saperlo, diventa una figura mitica all’interno del cartello, le voci su di lui arrivano fino alle orecchie del boss che decide di affidargli le consegne più difficili. Ovviamente tutto questo movimento attira le attenzioni delle autorità antidroga che si mettono alle calcagna di questo imprendibile corriere. Proprio quando il cerchio sembra stringersi inesorabilmente intorno a lui, braccato nel bel mezzo di una consegna, accade qualcosa di inaspettato, un evento nella sua famiglia che lo metterà di nuovo e per l’ultima volta di fronte alla scelta: se stesso, il suo ego e la sua ambizione o le persone a lui più care?

Guardando al film con obiettività, bisogna ammettere che non siamo di fronte al migliore dei lavori di Eastwood: anzi, proprio avendo a mente i precedenti, questo manca di quella tensione emotiva che in altre sue pellicole è tangibile ad ogni scena; la trama è piuttosto semplificata e tutto sembra andare esattamente come ci si aspetterebbe, salvo il colpo di scena a cui si accennava prima; anche la costruzione e la gestione dei personaggi non è granché efficace e questo non valorizza un cast, sulla carta, di ottimo livello. 

Un pregio del film è quello di rappresentare il mondo del narcotraffico privandolo di quell’aura machista e pseudo-rivoluzionaria che troppo spesso, negli ultimi anni, gli è stata attribuita: i narcotrafficanti sono uomini crudeli il cui unico credo si divide equamente tra denaro e potere, e nel momento in cui Earl Stone entra nel giro diventa uno di loro, senza mezzi termini; troppo facile sarebbe concedergli l’attenuante dell’età o della difficile situazione economica; infatti se per i primi carichi possiamo avere il dubbio che davvero non sappia cosa trasporta, questo decade nel momento in cui, violando le indicazioni che gli vengono date, durante una consegna si accosta e apre una delle borse scoprendone il contenuto. 

Nonostante questo, non si fermerà. Non è un uomo che si pone alcuna questione etica, gli importa davvero solo di se stesso e del suo tornaconto. Cosa importa se tanta gente, compresi ragazzi dell’età della nipote, da qualche parte negli Stati Uniti verranno uccisi dalla dipendenza da stupefacenti? L’unica cosa che, infine, lo distinguerà dagli altri è che il suo, inconsapevolmente, si rivelerà un percorso verso la redenzione ed il ricongiungimento con le cose davvero importanti della vita, anche se solo per un momento fugace.

The Mule è uno di quei film che se fossero stati girati da un giovane regista, sarebbero stati accolti con maggior entusiasmo; il motivo per cui si rimane un po’ delusi è che, giustamente, da artisti dello spessore di Eastwood ci si aspetta sempre l’eccellenza. Eccellenza che in questo caso non è stata raggiunta, ma ciò non toglie che il film risulta nel complesso godibile, soprattutto per i grandi fan di Clint.

Sarà davvero l’ultimo? Solo il tempo potrà dirlo, ma in fondo non importa. Di fronte a Clint Eastwood possiamo solo dire: giù il cappello (rigorosamente da cowboy)!