Il lago, la rocca e la loggia: gita a Trevignano, Calcata e Sermoneta
La gita “fuori porta” è un evergreen della cultura italiana. Che sia di Sabato o di Domenica, guidata da sugosi desideri mangerecci o da nostalgici amori culturali, l’esodo fine settimanale ha riguardato un po’ tutti noi, qualche volta o spesso, in un modo o nell’altro, prima o poi.
La mia esigenza di base in questa esperienza reiterata è sempre la stessa: la fuga da un presente che non mi appartiene per immergermi in un’epoca oscura e simbolica, il cui fascino a tratti malsano attira molti miei simili.
Naturalmente sto parlando del Medioevo, di cui sono insaziabile amante. La mia ricerca quasi morbosa e forse impossibile, punta verso una realizzazione difficile: il sentire “quell’età di mezzo che non è nemmeno degna di un nome” - come insegna l’altissimo, il vate medievista Franco Cardini - attraverso le sue uniche entità superstiti: le pietre dei luoghi di cui sono testimoni, che molto sanno, ma nulla possono dire.
Trevignano Romano
A un'ora e poco più di macchina dalla capitale, sorge quel luminoso paradiso lacustre che è Trevignano Romano. Meta ideale per una giornata rilassante, vi si arriva attraverso strade di campagna, e, ancor prima di giungere a destinazione, la verde sinfonia di campi punteggiati da alberi è sufficiente a lasciarsi indietro i rumori della vita cittadina.
Il paesino prende posto sulle sponde del lago di Bracciano, e la sua passeggiata, quasi sulla riva dello specchio d'acqua, è la prima tappa di una visita all’insegna della pace dei sensi.
Tutto il lungolago è un alternarsi di trattorie e bar: ci si ferma qualche minuto per un caffè o qualche ora per un pasto seduti all’aperto, godendo di una vista incantevole del bacino braccianense.
In alcuni mesi dell'anno, un mercatino brulicante si snoda lungo la promenade, obbligando diverse soste e magari anche qualche particolare acquisto.
La parte più interna del paese ci racconta le sue origini medievali, con le salite strette, i pavimenti di pietra, i caseggiati bassi e vicinissimi e la vecchia porta d’entrata: un arco a tutto sesto sovrastato da un’alta torre con l’orologio.
La chiesa dell’Assunta, con i suoi affreschi absidali, si fa centro di interesse artistico e culturale, come d’altronde la chiesa di San Bernardino, nella zona esterna al centro storico, che con il suo sentiero offre una gradevole passeggiata naturalistica per il camminatore della domenica, ma anche sentieri più autentici per l’escursionista più esperto.
Immancabile per chi vive di interesse storico è la Rocca Orsini, fortezza in rovina, ma ancora - e forse proprio per questo - splendida ed evocativa. È raggiungibile solo a piedi, partendo dal sagrato della già citata chiesa dell’Assunta nella parte interna del paese.
Trevignano Romano è una meta ambivalente: potete fare una tranquilla passeggiata e sedervi a bordo lago per una siesta domenicale oppure godervi una scarpinata tra i vicoli del paese fin sulla rocca e i suoi sentieri naturalistici.
Calcata
Tra le verdi alture viterbesi, attraverso il fitto fogliame delle valli del fiume Treja, all’improvviso affiora un paese di roccia.
Inerpicata su un uno sperone tufaceo, emersa da un apparente nulla, Calcata è una visione incredibile, una cittadella inespugnabile con un unico tipico ingresso. La zona più recente ed esterna fa da proscenio al paese antico, al quale si accede attraverso un’ entrata ad arco che sorregge gli edifici sovrastanti, una sorta di stretto e buio sottoponte.
E già così, trovandosi appena all’ingresso, si viene catapultati in un universo scomparso.
Calcata vecchia sorge intorno alla chiesa del Santissimo Nome di Gesù - come nelle più classiche tradizioni - risalente al XIV secolo ma restaurata nel XVIII. Botteghe, bar e trattorie, con i loro tavolini, si aprono sulla piazza principale, osservando il sagrato della struttura ecclesiastica di pietra chiara, luminosa e levigata dal tempo.
Inoltrandosi al di là di questa prima veduta si snodano le viuzze abitate: un dedalo di stradine di pietra, di scalette, finestrelle, porticine colorate; un’ inverosimile quantità di fiori e piante che decorano entrate, uscite, affacci e ringhiere del borghetto, illuminati da geometrie di luce scolpite da passaggi coperti. Questo spazio, giovanile e riqualificato, vede una moltitudine di negozietti di accessori particolari, che sono anche piccole gallerie di artigianato moderno.
La parte opposta si mostra più casta e spoglia, più scura e penitente, con i saliscendi, i pavimenti sconnessi, i passaggi bui, un antro scosceso e l’ormai noto spiazzo su più livelli sul quale si affaccia più di una gradinata. Ed è forse questa la parte più fedele, più evocativa di ciò che doveva essere vivere su un’altura inarrivabile, ventosa, delimitata da un perimetro che è anche un belvedere: uno strapiombo nel bosco, una sensazione che è insieme libertà e prigionia.
Sermoneta
La fettuccia di Terracina è una strada che apprezzo molto. Ha il sapore della pianura padana postbellica, da vecchio film in bianco e nero, suggeritomi sicuramente dalla sua conformazione, da cui prende il nome: un pezzo tutto dritto della via Appia, alberato e delimitato da campi coltivati e piccoli casolari. È la strada che collega Cisterna di Latina e Terracina ed è quella da percorrere per arrivare a Sermoneta.
Si svolta a sinistra e si sale lungo un sentiero asfaltato per le auto, nella boscaglia fitta, che nasconde ad un tratto una chiesetta diroccata del XVI secolo, abbandonata e murata, e si prosegue fino ad avvistare la cinta maestosa del castello.
Si entra nel paese a piedi e subito la natura di quel luogo è inconfondibile.
I viottoli di ciottoli sono in salita, alternati da gradoni e scaloni, sono stretti, incastrati tra gli edifici bassi, le finestre sono piccole. Ci sono degli archi a tutto sesto che segnalano ingressi di portici e poi, meravigliose, nella loro disarmante peculiarità, le bifore: non solo lungo le mura dell’imponente fortificazione, ma anche sulle pareti delle abitazioni. Alcune arcate, purtroppo chiuse da muri di mattoni recenti, segnalano l’antica presenza di stalle e botteghe. Questo è l’ingresso della cittadella, nella sua onestà medievale, sembra testare la preparazione del visitatore, come a soppesare le intenzioni di quella gita.
Continuando a salire, ci si trova davanti le altissime pareti di blocchi del castello, con le sue rotondità scoscese e i suoi merli squadrati (purtroppo non è attualmente visitabile, ma, la vista del suo solo perimetro, è motivo di grande emozione). Costeggiandolo, si arriva nella zona più frequentata, le trattorie sono piene di un vociare indistinto, rumoroso, e più avanti i bar, sulla piazza, offrono sedute in discesa.
Questa è la parte del paese che vede l’affacciarsi del secondo emblematico elemento di foggia medievale: la loggia. Ce n’è una in particolare, divenuta famosa come fondale della ben nota scena del film Non ci resta che piangere:
“Ricordati che devi morire!”
Gridava un monaco fatalista.
“Sì, sì, mo me lo segno”
Rispondeva spaventato Troisi.
Se amate quel film, grandioso nelle sue imperfezioni, non potete non concedere un po’ di tempo e qualche foto in posa alla Loggia dei Mercanti, datata XV secolo.
Più avanti la chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo attrae i visitatori con il suo inaspettato campanile, colorato e svettante, e li accoglie in un angolo, fiera di mostrare la tipicità delle sue navate, nonostante alcuni evidenti rifacimenti più recenti.
Ogni centimetro del paese è testimone di quell’era passata. Inverosimile e bellissima la presenza di archi a sesto acuto, disseminati ovunque, prezioso indizio di funzionalità architettonica e inconfondibile traccia di quel tempo incompreso.
È triste e difficile lasciarsi indietro questa fetta di rievocazione storica perenne, che mi ha donato una indescrivibile pienezza e dove ho rivisto le ambientazioni di alcuni amati romanzi; qui, più che in altri luoghi, ho cercato il contatto con la pietra per percepire quella storia di cui ho solo letto ed immaginato.
Trevignano, Calcata, Sermoneta… sono solo alcune delle cittadine, di cui tutta l’Italia è disseminata, che ci regalano giornate indimenticabili. Tutto il nostro bel paese è ricco di questi libricini di storia a cielo aperto, diari di tempi che furono, che ancora oggi sono abitati da poche anime.
La storia aleggia in questi luoghi, se fate attenzione potrete percepirla: disponete il cuore, porgete l’orecchio e potrete sentire quanto il silenzio ha da dire.