La cucina di Valerio Binasco al Teatro Eliseo: un microcosmo d’umanità
Durata: 2 ore (escluso intervallo)
Autore: Arnold Wesker
Regia: Valerio Binasco
Mestoli, pentole, fornelli. Religiose, platesse, cotolette d’agnello. La cucina è una fucina di leccornie, un mondo capace di sfornare piatti deliziosi e saziare la gola dei commensali, regalando loro momenti di preziosa convivialità ed attimi di inestimabile piacere. Un posto dunque paradisiaco, dov’è possibile liberare la propria creatività e plasmare gustosi capolavori culinari, ricavati da succulente materie prime.
Niente di più sbagliato. La cucina è un luogo di lavoro come un altro. Un’azienda dove l’obiettivo è quello di ottimizzare il tempo e massimizzare i guadagni. Non c’è pausa. Non c’è tregua. Non c’è compassione. Si lavora alacremente sotto gli ordini di un proprietario intransigente, tanto avido di denaro quanto affamati sono i suoi clienti. Qualità? Non c’è tempo. Bisogna far di necessità virtù, e rispondere alle comande nel più breve tempo possibile. “Tre religiose, sei platesse, quattro cotolette d’agnello tra dieci minuti. Tavolo cinque. Veloci.”
Benvenuti nella cucina descritta da Arnlod Wesker. Benvenuti in fabbrica.
Il regista Valerio Binasco trasforma il testo del drammaturgo inglese in una pentola a pressione. I personaggi della sua messinscena – tutti approfonditamente delineati – sono stipati in un ambiente che diventa sempre più bollente. Sanguinosi litigi, antichi dissapori e violente relazioni, saranno gli ingredienti che aumenteranno la temperatura della cucina, fino a portarla ad esplodere.
In tale accesa rappresentazione, non c’è sipario a dividere il pubblico dal palcoscenico. La platea è un immaginario prolungamento della cucina, un punto da cui si assiste con sguardo affilato alla distruzione di ogni singolo personaggio. Dei ventiquattro attori provenienti dalla scuola del Teatro Stabile di Genova, non uno uscirà indenne dalla messinscena. Finiranno tutti per essere inclusi nella mattanza conclusiva: in una cucina che non fa prigionieri, ma cuoce ognuno di loro lentamente sul fuoco degli estenuanti ritmi lavorativi, per poi lasciarlo divorare dal mondo bulimico del consumismo.
Se gli interpreti sono provati da un intenso sforzo performativo, l’universo teatrale presente alla rappresentazione si fa trovare pronto a rendergli i dovuti complimenti, acclamandoli e chiamandoli più volte alla ribalta.
Dei numerosi personaggi, occorre evidenziare il ruolo in cui recita Lucio De Francesco, Gaston, un addetto alla griglia che si esprime in un dialetto turco-napoletano di rara simpatia, le cui parole si scagliano contro gli altri dipendenti alla stessa velocità della lama con cui taglia la carne, facendo tutti a pezzi con la sua tagliente ironia (in ciò ricordando il miglior Lello Arena); Aleph Viola nelle vesti di Michael, addetto a uova e minestre proveniente dai Balcani che, attraverso il suo incedere dinoccolato e la sua risata beffarda, si prende gioco di tutti e tutto, allietando l’atmosfera al ritmo della chitarra da lui suonata; una scoppiettante Elisabetta Mazzullo nella parte di Monique, sensuale e civettuola capo cameriera sudamericana che ama farsi corteggiare e giocare con il fuoco; e infine un intenso Aldo Ottobrino, qui nei panni del tedesco Peter, rigido addetto al pesce che non si piega, ma finirà per spezzarsi.
Tra diverse etnie, lingue e costumi, la cucina di Binasco diventa un microcosmo dell’umanità, un posto dove osservare i problemi che affliggono la nostra società e magari, chissà, trovare anche la ricetta per una soluzione.
Scene: Guido Fiorato
Costumi: Sandra Cardini
Musiche: Arturo Annecchino
Luci: Pasquale Mari
Produzione: Teatro Stabile di Genova