LA STORIA DI IVO - La pelle nera - Parte sesta

Tre ragazzi – Ivo, Gemma e Abdi – si trovano per caso a vivere la loro amicizia in una dimensione prima mai immaginata. Una sfida e un’opportunità. Un percorso, il loro, che li conduce a un’idea di libertà più difficile ma più vera.


Era ancora bambino quando i suoi genitori lo avevano portato al cinema a vedere Via col vento, un gran bel film anche se il razzismo colava a litri dallo schermo malgrado le buone intenzioni dei suoi autori e malgrado il bel visino di Rossella O’Hara e la benevola grinta di Rett Butler. Dati i tempi, tutto quel razzismo poteva anche passare se non avessero esagerato doppiando la tenera Prissy facendola parlare in modo strano, alla “si badrona”, come se madre natura le avesse messo in gola delle corde vocali diverse da quelle che consentivano ai suoi padroni bianchi di produrre suoni diversi da quelli che uscivano dalla bocca della loro serva nera.

A causa di Via col vento Ivo aveva inevitabilmente fatto sua l’idea che i neri - i “negri” come allora si diceva - abitassero nei piani bassi della società, gente magari da proteggere, anche da rispettare se si coltivavano buoni sentimenti, ma comunque gente diversa. “Perché non c’è niente da fare, le razze le ha create il Signore e non si può contraddirlo” così si diceva senza pensarci troppo su.

C’è però da aggiungere che quando Ivo era ragazzo di “negri” in giro per la sua città se ne vedevano pochissimi, così pochi che le rare volte che capitava di incontrarne uno in strada - un diplomatico o qualcuno rimasto bloccato in Italia ai tempi dell’impero fascista - veniva automaticamente da esclamare “guarda là, un negro!” Senza cattiveria, con curiosità, allo stesso modo in cui si sarebbe detto “guarda lì, un marziano!”

Per Ivo le cose cambiarono quando conobbe Abdi, un suo collega di università. Un ragazzo somalo di grande intelligenza, di buon carattere e soprattutto di notevole bellezza, tutte doti che però non gli consentivano di avere dagli altri ciò che chiunque altro con meno pregi ma con la pelle bianca avrebbe potuto sperare di ottenere. Non gli consentivano di godere di quell’indifferenza che, quando la si subisce, viene in genere vissuta con una certa frustrazione mentre per Abdi sarebbe stata una rassicurante conferma di essere come tutti gli altri. Senza parlare delle sue colleghe che lo guardavano con grande interesse in tal modo assecondando soltanto il loro senso estetico perché se qualcuno avesse chiesto loro “ci faresti l’amore?” avrebbero risposto in coro “ma che sei matto?”.

Soltanto Gemma avrebbe risposto “perché no?”. Gemma era a quel tempo la ragazza di Ivo. Lei, Ivo e Abdi erano un terzetto affiatato, erano anche colleghi all’università e studiavano insieme. Dei brillanti cervelli ospitati in corpi che rispondevano con slancio alle provocazioni della loro gioventù come i fatti che seguono avrebbero confermato. 

Un giorno successe infatti che Ivo non poté partecipare a un comune pomeriggio di studio e successe anche che Gemma e Abdi fecero l’amore. Tutto molto semplice, perfino scontato. Semplice e scontato ma doloroso per Ivo che in quel momento di abbandono in cui i due ragazzi avevano assecondato un loro naturale desiderio, non vide non soltanto un tradimento da parte della sua ragazza e del suo migliore amico, ma anche una commistione tra due dimensioni entrambe per lui preziose che avrebbero però dovuto continuare a esistere con diversi linguaggi, con diversi obiettivi, con diversi limiti.

Nel fondo dei suoi inconfessabili pensieri Ivo aveva forse raffigurato Abdi sullo sfondo di un lontano villaggio africano, a piedi nudi coperto da una futa dai vivaci colori mentre parlava una strana lingua volgendo lo sguardo verso l’immensa boscaglia che gli si stendeva davanti a perdita d’occhio. Un’immagine bella, serena, accattivante, certamente non ostile ma tuttavia legata a una realtà estranea di cui Abdi era senza scampo espressione anche sotto i suoi costosi jeans e l’elegante maglione. Una realtà che, per la conoscenza e poi la stima e l’affetto che li legavano, rimaneva sopita in qualche recondito anfratto della mente ma che stava lì, tutta intera, nella sua leggiadria ma anche nella sua diversità.

Il disinganno per il tradimento della sua ragazza e del suo migliore amico, però, fu anche il momento in cui Ivo costruì con le proprie mani uno dei più importanti moduli della sua personalità, lungo un percorso in cui incontrò l’Antropologia, la Sessualità, la Paura che gli vennero incontro gomito a gomito con l’Amicizia, la Civiltà, l’Intelligenza, una folla di potenziali parti di sé che presentandoglisi di fronte tutte insieme lo confondevano nella ricerca di una  risposta a una domanda che nessuno gli aveva mai posto prima di allora.

In assenza di quella risposta sarebbe stato per lui difficile non pensare che il “negro” Abdi avesse posseduto la “bianca” Gemma. Era questo il lato “oscuro” della storia. Ma era anche un punto di partenza. Se voleva continuare ad essere se stesso, Ivo doveva coprirsi di una pelle diversa che potesse “illuminare” la sua mente su un’importante verità. Che Gemma e Abdi avevano situato il loro gesto in una diversa dimensione che avevano da soli scoperto o anche soltanto immaginato aggirando lo scoglio della banalità di un tradimento e concedendo a questo la dignità di un coraggioso incontro tra due realtà che avevano voluto fondersi pur essendo state fino a un attimo prima senza scampo distanti. Ivo aveva compreso che la Libertà, per essere vera e non una standardizzata ricaduta del costume, deve a volte trovare da sola la propria strada attraverso una deviazione dal suo normale tracciato.

Quando, finiti gli studi, Abdi lasciò l’Italia per tornare nel suo Paese a salutarlo in aeroporto Gemma non c’era perché aveva da fare. Ma Ivo era lì.

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