Renato Leotta: "Ho pensato di regalarmi un lavoro dedicato a Roma"
Rilanciare l’arte contemporanea in tempi di pandemia, a partire dall’opera di tre giovani artisti. Questa è la sfida del Maxxi, che ha deciso di organizzare e ospitare un’importante collettiva che tocca temi attuali che ci riguardano da vicino, come la paura e il futuro, riflettendo al tempo stesso sul ruolo della cultura e dei musei oggi, in uno scenario di crisi in cui occorre riscoprire la loro importanza.
La mostra, curata da Giulia Ferrucci, era stata inaugurata il 28 ottobre 2020, e ha dovuto chiudere prematuramente i battenti il 3 novembre, ai sensi del DPCM che decretava la chiusura di tutti i musei. I tre giovani finalisti del MAXXI Bulgari Prize 2020, Giulia Cenci, Tomaso De Luca e Renato Leotta, hanno esposto le loro opere negli spazi flessuosi e dinamici di via Guido Reni poco prima della chiusura dei musei. Il 2 Febbario 2021 con il ritorno del Lazio in zona gialla finalmente i musei hanno potuto riaprire, e possiamo liberamente tornare a esplorare i numeorsi ambienti del MAXXI adibiti a ospitare questa mostra. Si tratta, infatti, di un percorso immersivo che parte dall’ingresso e si sviluppa fino alla scenografica sala 5.
In attesa della riapertura, è stata in fase di stallo anche la dichiarzione del vincitore di questa seconda edizione. Sarà, infatti, il pubblico a decretare chi si aggiudicherà il premio attraraverso una modalità di voto dall’impostazione democratica, che permetterà a ogni visitatore di esprimere la propria preferenza. L’ottenimento del presente riconoscimento permetterà all’artista vincitore di entrare a far parte della collezione permanente del museo.
Ricordiamo che la prestigiosa giuria che ha selezionato i nomi di Giulia Cenci, Tomaso De Luca e Renato Leotta era composta da Hou Hanru (Direttore Artistico del MAXXI), Bartolomeo Pietromarchi (Direttore del MAXXI Arte), Manuel Borja-Villel (Direttore del Museo Reina Sofía, Madrid) ed Emma Lavigne (Presidente del Palais di Tokyo).
Noi de L'Amletico abbiamo avuto il piacere di parlare con Renato Leotta, che ci racconerà del suo lavoro, “Roma”, un’opera tanto poetica quanto attuale che ci ha profondamente colpito.
La mission della collaborazione fra Bulgari e Fondazione Maxxi verte su una strategia specifica: puntare sulla cultura, e attraverso questo scommettere sui giovani in un contesto di stallo intellettuale. Come si pone la tua opera in un simile clima? Quali questioni sottolinea della nostra emergenza culturale per aiutarci a immaginare nuovi scenari futuri fuori da questa crisi?
Ho deciso di utilizzare questa immagine di una Roma immobile per descrivere la stasi che investe spesso la cultura. Non credo che si tratti solo di un problema italiano, ma di una deriva che investe il sud dell’Europa oramai senza ipotesi di inversione di marcia; e che immagina il patrimonio culturale come una rendita utilizzata/valorizzata a scopi di reddito attraverso esclusivamente il meccanismo della sua fruizione passiva: ovvero attraverso il turismo. Questo accade con i centri storici delle città italiane, con i musei o le collezioni, esattamente come accade con il vacuo del sole e del mare che il sud dell’Europa ha promosso per decenni come risposta a una incapacità di creare una alternativa alla struttura produttiva economica continentale. Al sole e al mare, al clima mite e al cibo, sia la politica che noi abbiamo assimilato per confusione la cultura. Le rovine che abitano il centro di Roma non sono che la testimonianza di una geografia capace di essere il centro del pensiero e non la periferia più estrema. Ho preso come esempio una finestra che si affaccia su questo tempo: l’Area Sacra di Largo Argentina. Attualmente non è abitata da turisti, ma è custodita da una colonia felina spontanea.
In un’intervista recente hai detto che la realtà sociale dell’emergenza sanitaria ha interagito in qualche modo con il processo della sua realizzazione. Hai affermato che nei tuoi video sono presenti scene della città deserta, e hai parlato di temporalità multiple che coesistono. Potresti dirmi qualcosa in più rispetto questo incontro fra diversi piani temporali?
L’Area Sacra di Largo Argentina è per me una finestra. Un’immagine che incornicia la materia archeologica e la colloca in un tempo muto fuori sincrono dal resto della città che agisce, al contrario, consumando il tempo con entusiasmo e smania. Durante il periodo di blocco forzato abbiamo avuto la possibilità di vedere la città cambiare velocità, la temporalità era trasversale a tutto e le città, con le loro piazze, fontane e centri storici sembravano diventare tutt’uno con le rovine. La città vuota si amalgamava temporalmente al luogo che era il mio oggetto di studio.
Ho pensato da subito per le riprese a una immagine priva dell’uomo, anzi, presente dell’uomo, ma solo attraverso una possibilità interlocutoria con lo sguardo dei gatti. Il lavoro esiste ed è opera nella compresenza di un fruitore. La realtà sociale di questo periodo storico è permeata di assenza –purtroppo pare lo sarà sempre di più– riflettere su questo mi ha credo portato a immaginare un dispositivo di relazione salvifico, tra uomo e animale, tra vita e vita.
I gatti di Largo Argentina sono diventati iconici. L’importanza del sito archeologico passa in secondo piano per molti turisti che sembrano più interessati a fotografare loro, veri protagonisti del mondo social. Anche nei tuoi video le rovine sembrano quasi essere lo sfondo entro cui i gatti trascorrono le loro giornate rilassate e sonnecchianti. Tuttavia, non è uno sfondo neutro o estetico, anzi, e in qualche modo i gatti mi sembrano imbevuti di storia. La loro vita selvatica, potrebbe essere paragonata al libero fluire dell’acqua delle fontane? (altro soggetto del tuo lavoro).
Le fontane sono immagini 16 mm registrate come se fossero suono. Volevo in qualche modo filmare il suono dell’acqua, pensandolo come un contrappasso che disubbidisse alla muta carica temporale assunta dalla pietra delle rovine e della città – in questa condizione di assenza di cui parlavo sopra.
La presenza dell’acqua mi ricorda un motivo germinale, che sia della nascita di una polis di una comunità e della vita in generale. Inserirlo nel lavoro mi poneva in una condizione positiva di pensiero.
Della morte di Giulio Cesare pochi turisti si interessano come del resto della storia dei templi e le stratificazioni dell’Area archeologica ben che meno. Uno dei templi per esempio è dedicato alla ninfa delle fonti Giuturna; secondo Virgilio aveva il dominio delle acque dolci di tutti i fiumi del Lazio. Ho immaginato l’ironia del caso che vuole i felini custodi del tempio che rappresenta l’elemento a loro meno congeniale: l’acqua.
I televisori neri attraverso cui vediamo questi video sono delle presenze discrete, che tuttavia colonizzano lo spazio della galleria 5 in cui lo spettatore si immerge. La spontaneità ricercata della loro disposizione mi ricorda molto la libertà con cui i gatti si muovono e si insediano fra le rovine di Largo Argentina. Nel tuo lavoro entra in gioco in qualche modo il concetto di colonizzazione?
Si, il concetto di colonizzazione è abbastanza centrale. Mi interessano gli aspetti di una colonizzazione culturale passiva che viviamo in Italia; per esempio come dicevo sopra, le degenerazioni legate al turismo o l’assimilazione all’interno della vita sociale e soprattutto culturale di strumenti connessi agli standard sociali o del politicamente corretto; formulati da geografie lontane ma imposti e utilizzati da noi per inerzia. Ora tutto questo nel mio lavoro è sottotraccia perché preferisco affrontare il tema con ironia e attraverso una immagine poetica. I gatti sono lo specchio di un ragionamento molto più ampio che sto sviluppando da tempo; parte per lo più da uno studio legato alle prime colonie greche della costa ionica sorte lungo i fiumi che oggi ospitano i più impattanti centri industriali della petrolchimica. Anche in questo caso la sorte ha voluto che la presenza dei gatti si trasfigurasse in un animale da logo; penso alla Esso con la sua tigre, oppure la Erg o il felino dell’Agipgas. Il filo conduttore è il mito.
La tua opera mi sembra rivendichi l’importanza del legame che l’arte intrattiene con un territorio specifico. In questo caso Roma e la sua storia, antica e moderna, micro-storia o macro-storia che sia, fatta di piccoli/grandi eventi e monumenti. Che importanza ha nel tuo lavoro il contesto di origine?
In questo caso ho pensato di regalarmi un lavoro dedicato a Roma. L’ho fatto per me.