Diamond e Solo: dall'Accademia alla Street Art

Il panorama della Street Art a Roma è sempre in fervore. La quantità e la qualità delle opere d'arte, la loro dislocazione tra centro e periferia e il differente linguaggio espressivo dei vari street artists, sono i punti di forza di questo interessante, e per certi versi ancora nuovo, “movimento artistico” che si trova in continua espansione tra le vie della Capitale d'Italia. Fra i principali artisti romani di questo scenario troviamo sicuramente Diamond e Solo, due artisti attivi in Italia e all'estero, che da qualche anno lavorano insieme.

Da come apprenderemo meglio nell'intervista, Diamond presenta un'arte basata sul principio di eleganza e precisione del tratto, con scene intense e ricche di simboli stravaganti, spesso eseguite sotto l'influenza iconografica e stilistica derivante dall'Art Nouveau. Solo invece, quasi in antitesi, racchiude la sua espressione artistica nei personaggi dei fumetti, nei supereroi. Due stili del tutto differenti che, se uniti, creano senza ombra di dubbio un equilibrio e un'armonia appagante.

Avete fatto entrambi l’Accademia delle Belle Arti. Diamond come sei arrivato alla Street Art?

D: Ho iniziato come un “vandalo” molto giovane, ero un writer: vedevo le scritte per strada e mi sono innamorato perché ho capito che era un alfabeto con uno stile che non insegnava nessuno. Guardando lo stile degli altri imparavo e mi sono costruito il mio “nome”, il mio alfabeto, dalla A alla Z, una “calligrafia”, facendo già esercizi di stile. La mia origine sono i graffiti: prendersi uno spazio senza che nessuno te lo dia. Adesso è cambiato tutto in maniera estrema, si è quasi ribaltato. Ma si partiva così, ti prendi uno spazio e spruzzi. Facendo il writer puoi trovarti a dipingere in depositi della metro, in strada, in maniera illegale e quindi può capitare prima o poi di essere arrestato. E infatti fu così. Dopo questa brutta esperienza mi è rimasto questo tarlo dentro, non potevo smettere di esprimermi per strada quindi mi sono reiventato, ho cambiato nome, entourage, ed ho cominciato con gli stencil, che in quegli anni, intorno al 2000 non si vedevano tanto a Roma. E ho continuato così, con una cosa simile ma diversa. Abbiamo cominciato in quel periodo a fare “bombing” con gli adesivi.

Cominciamo con le immagini. Hai capacità di trarre dall’arte antica simboli che rielabori e riporti con citazioni del mondo contemporaneo: ci sono delle tematiche ricorrenti con uno stile particolare come la figura femminile, la figura della morte, gli animali e in particolare il serpente, la decorazione naturalistica stile Ex libris e la D che è una tua “tag”. Da dove prendi questi elementi?

D: Basta risalire alle fonti: nella storia dell’arte abbiamo un patrimonio infinito di immagini. Ho fatto una ricerca molto specifica per capire cosa mi interessava di più, è bello attingere dalla storia dell’arte per identificare un’immagine che sentiamo più vicina ma la cosa più interessante è rielaborarla.

Questa è una delle mie “D”.

Diamond, Latet Anguis in Herba, Quadraro, Roma 2012

Diamond, Latet Anguis in Herba, Quadraro, Roma 2012

C’è una scritta latina “Latet Anguis in Herba”, la serpe si nasconde nell’erba (una locuzione da Virgilio n.d.s). Realizzata su un muro del Quadraro, un quartiere della periferia di Roma. Sono estremamente affascinato dalla miniatura ed i dettagli decorati.

Diamond abbiamo visto che tendi a rappresentare temi che ricorrono spesso nel mondo della street art, come l’inserimento di simboli ed animali ripresi dal mondo orientale. C’è un dettaglio del muro a Tormarancia dove compare un dragone cinese…

D: Sì c’è una leggenda metropolitana che racconta che il quartiere di Tormarancia negli anni 50/60 durante i nubifragi si allagava, fino a diventare come Shangai e la chiamavano la Shangai di Roma. Questa figura l’ho presa dall’immagine di un libro di nudi anni 50 una pin-up in una posizione sognante, dormiente, mi piaceva perché era avulsa dal concetto erotico le ho ricostruito la mano che stringe il diamante, l’ho resa più eterea con i fiori in testa. Rappresenta Roma, una bellissima donna addormentata che però si deve svegliare altrimenti va in coma, una morte cerebrale che stringe in mano un diamante prezioso. Il diamante perché rappresenta il mio simbolo perché si presenta con tante sfaccettature come il mio stile.

 
Diamond, Hic sunt adamantes, big city life Roma

Diamond, Hic sunt adamantes, big city life Roma

 

L’impianto decorativo?

D: Ho la passione per mercatini dell’usato, vintage e mi capita di trovare libri antichi del secolo scorso con delle copertine insuperabili a pochissimo gettati lì, e questa parte di cornice gialla e blu l’ho ripresa da lì, l’immagine con i delfini pre-liberty.

Ti è stato richiesto un tema di base?

Un tema no ma mi hanno chiesto dei bozzetti da selezionare, all’inizio avevo una proposta più “hardcore”, una donna seminuda avvinghiata da una piovra come immagine della corruzione di Roma ma ho ricreato una versione più morbida, che comunque piaceva.

Tu, Solo, trasformi i tuoi personaggi trasferendogli aspetti umani, con i problemi comuni, sono depressi, poveri, perdono la donna amata… Tratti l’eroe in maniera “antieroica”…

S: Non ho inventato nulla. Stan Lee, l’inventore della Marvel, ha creato il supereroe con superproblemi per far avvicinare il lettore al protagonista, superando così il plot narrativo ripetitivo dell’eroe che vince e del cattivo che muore: il supereroe è più umano dovendo affrontare una serie di sciagure ed il lettore poteva entrare più in sintonia, ad esempio, con l’uomo ragno che cerca di approcciare una ragazza e non ci riesce. Questo accadeva negli anni 60. Ho ripreso questo concetto per trasmetterlo a tutti. Del resto quando ho iniziato, nel 2000, non c’era ancora il fenomeno cinematografico Marvel. Comunque ecco, la cosa bella è che quando accetti che l’eroe è fallibile, un po’ come le divinità greche che hanno vizi e debolezze umane, si aprono infinite possibilità e puoi rappresentare anche l’uomo ragno che fa l’elemosina.

 
Solo, Heros in crisis, tecnica mista su muro, Orion club Ciampino, 2013 - foto: Solo

Solo, Heros in crisis, tecnica mista su muro, Orion club Ciampino, 2013 - foto: Solo

 

C’è un legame con la Pop-Art, da Lichtenstein a Ronnie Cutrone …

Il fumetto è un linguaggio universale: in Russia, in Vietnam, in Messico, anche se con qualche differenza, tutti possono decodificare un concetto espresso da un supereroe di un fumetto. Quando ero a New York e dipingevo Wonder Woman che fa parte davvero della loro cultura mi capitò una vecchietta che mi parlò di Wonder Woman come se fosse stata la nipote! E’ universale anche trasversalmente all’età: dal bambino all’adulto. Rispetto al messaggio che veicolo c’è comunque, come dicevo, la fallibilità ma anche il voler dimostrare che con l’impegno e la determinazione nessun ostacolo è insuperabile.

È forse ancora più Pop la citazione della Pietà…

S: Nasce da un’idea che ho avuto guardando uno schizzo di Gipi ed ho immaginato questa scena come morte dell’eroe come pietà e mi interessava sperimentare di dipingere il marmo che non è una cosa che mi capita spesso! E’ come unire i puntini ed il disegno esce fuori!

 
Solo, Pietas, 2013, tecnica mista su tela 2013, 150x250 cm, collezione privata, foto: Solo (opera ispirata a GIPI)

Solo, Pietas, 2013, tecnica mista su tela 2013, 150x250 cm, collezione privata, foto: Solo (opera ispirata a GIPI)

 

Non vorresti rifarla sul muro?

S: E’ una tela grande 3x2, fatta in un giorno, in un momento magico, il viso è venuto benissimo, non saprei ricrearla uguale!

Qui invece?

S: Qui invece ho realizzato quest’opera a Roma, alla fermata metro B di Ponte Mammolo per il progetto Urban Breaths Project. Ho scelto di reinterpretare i vari supereroi neri. E’ stato buffo che nessuna delle persone, quando passava davanti all’opera in esecuzione, riusciva a dirmi esplicitamente che erano neri!

 
Solo, Murale alla fermata metro B di Ponte Mammolo, 2015, per il progetto Urban Breaths Project - Take One, Roma

Solo, Murale alla fermata metro B di Ponte Mammolo, 2015, per il progetto Urban Breaths Project - Take One, Roma

 

Hai scelto di rappresentare supereroi di colore per temi sociali, per provocazione?

S: Per provocazione sicuramente si, anche perché secondo loro io avrei dovuto realizzare un murales che andasse in un certo qual modo a cacciare il mercatino che era lì difronte e invece ho realizzato tutti personaggi del fumetto neri, creando qualcosa di inaspettato. Però in realtà io non lo faccio appositamente. Nel senso che è divenuto successivamente un’opera a tema sociale, però io nelle realizzazioni delle mie opere non ho una dietrologia…da fondamentalista! Diventa semplicemente dopo l’esecuzione un simbolo per qualcosa, noi diamo qualche imput ma poi l’opera viaggia e cammina da sola.

Parliamo del rapporto con la committenza. Il progetto di David Vecchiato per il raccordo anulare? Progetto che, per entrambi, si mostra legato ad avvenimenti specifici o a fatti storici avvenuti…

D: “La Lucrezia”: Siamo sull’ardeatina, repubblica romana, nei pressi del raccordo in questi due muri che corrispondono a due lati del cavalcavia. Dovevo rappresentare il tema dello stupro in due versioni. Mi sono concentrato su una figura femminile sofferente, con delle mani maschili sullo sfondo, senza esagerare sui particolari troppo forti ho addolcito il tutto con questo stile floreale e decorativo, che non hai evidenti legami con il dettaglio della violenza o della trama in sé.

S: “Mummy of the Red Cave”: ho scelto questa storia per il muro del raccordo tra Labaro e Prima Porta. E’ la storia del rinvenimento della mummia di Grottarossa, ora al Museo Nazionale Romano. Per me che vengo dal mondo dei fumetti la mummia è un tema allettante. Ho quindi scelto di rappresentare la storia di questa mummia ritrovata, andando però a modificare alcuni aspetti legati alla sua storia. L’ho ad esempio rappresentata un po’ più cresciuta, riprendendo il tema del titolo dai film horror anni 50. Per quanto riguarda il volto, non ho trovato mummie dai fumetti ed ho quindi preso la foto di una ragazza e poi l’ho “mummificata”, rappresentandola però come nella descrizione del ritrovamento, con il vestito rosso di seta orientale lilla/fucsia, gli orecchini d’oro a cerchio e la collana con le pietre azzurre. Infine ho scelto di rappresentarla distesa perché il muro era lungo e non volevo sacrificare lo spazio. In questo ho creato anche un’analogia con il ritrovamento poiché è stata trovata distesa. E’ interessante a tal proposito aprire una parentesi sulla fruizione attuale dei lavori di Street art che, per la maggior parte delle volte, vengono guardati dai social media. Difatti sui social la “Mummy of the Red Cave” è oggi vista dritta.

 
Diamond, Lucrezia, 2018, Progetto GraArt, Associazione Muro, Roma

Diamond, Lucrezia, 2018, Progetto GraArt, Associazione Muro, Roma

 
 
Solo, Mummy of the Red Cave, 2018, tecnica mista su muro, Progetto GraArt, foto: Solo

Solo, Mummy of the Red Cave, 2018, tecnica mista su muro, Progetto GraArt, foto: Solo

 


In Russia, per il safta festival, avete svolto un lavoro di collaborazione, tenendo in considerazione il contesto e la tradizione narrativa popolare, con elementi iconografici e citazioni culturali, lavorando sulla storia recente. Solo invece lavorando sulla fiaba e sulla storia narrativa popolare…

D: In una piccola città nel cuore degli Urali, Sancta, ci avevano richiesto di dipingere un grattacielo ma c’era un’enorme sequoia davanti. Abbiamo girato con google maps la città e individuato lo spazio che desideravamo, due facciate di cemento. Il tema iniziale era l’ecologia e ci hanno dato delle limitazioni. Non potevamo infatti ad esempio rappresentare argomenti come l’omosessualità e la politica. All’inizio avevo immaginato uno sfondo innevato con dei colori spenti in corrispondenza a quello che deve essere il paesaggio lì per la maggior parte del tempo. Mi dissero però che volevano qualcosa di opposto e così mi sono ricordato di un illustratore spettacolare di fiabe russe, Bilibin, e della storia di un cartone animato russo che vidi da piccolo un pomeriggio su Rai tre. Si trattava di una fiaba sui cigni selvatici che mi rimase impressa perché era disegnato benissimo quindi ho identificato il tema e ritrovato quella storia.

Tu, Solo, hai fatto riferimento alla storia contemporanea ed hai unito la parola, cosa che tu anche a volte fai…

S: ogni artista ha un approccio diverso rispetto a cosa rappresentare. A volte alcuni dipingono i loro temi ricorrenti indipendentemente dal luogo. Dal momento che la street art è comunque un’imposizione violenta, è un disegno che vedranno tantissime persone ogni giorno e che non possono scegliere, preferisco scegliere un tema coerente con il contesto. Volevo rappresentare qualcosa che avesse a che fare con la loro storia e la loro cultura, tenendo conto delle limitazioni di temi e colori imposte dai committenti. Ho scelto l’immagine di una astronauta, una ragazza che parte per lo spazio, con una frase che ricordavo da piccolo: “non cambiare pianeta, cambia il tuo pianeta”. Nel casco avevo inserito il logo dell’agenzia spaziale russa ma non mi è stato consentito così l’ho sostituito con la faccia del mio cane, che poi è un’icona di Laika, la cagnetta che fu inviata nello spazio.

Questa è una citazione di un fumettista contemporaneo…

S: Sì, per il viso di questa donna ho citato un fumettista inglese che mi piace molto. Ho poi scelto di mantenere il colore dello sfondo del muro tenendo in considerazione il fatto che si tratta di un muro adiacente ad una pista ciclabile ed appare mentre cammini su una strada dritta, quindi deve risultare un disegno di impatto visivo e non un disegno troppo pieno di particolari.

 
Diamond, a Satka, Street Art Festival, 2017

Diamond, a Satka, Street Art Festival, 2017

 
 
Solo, Satka, Street Art Festival, 2017, spry su muro, istituto di cultura italiana a Mosca, foto: Solo

Solo, Satka, Street Art Festival, 2017, spry su muro, istituto di cultura italiana a Mosca, foto: Solo

 


È difficile vedervi al centro di Roma di solito agite nelle zone degradate. Nascete come protesta mentre ora vi cercano per abbellire un muro… come vivete questa doppia vocazione?

D: Al centro di Roma non c’è bisogno di aggiungere nient’altro. In un contesto abbandonato di periferia un disegno colorato non risolverà i problemi ma scelgo di farlo là dove servirà sicuramente di più. Spesso si creano anche dei legami o dialoghi con gli abitanti, che non sono gli stessi del centro, e può capitare che mi tornino a salutare.

S: A volte un disegno li fa sentire più responsabili del loro quartiere, uno spazio di cui prendersi cura, innesca un meccanismo virtuoso. Magari qualche turista va a vederlo e questo diventa motivo di orgoglio e di stimolo a tenerlo pulito ed ordinato, anche se di questo dovrebbe occuparsene l’amministrazione culturale e non ricadere soltanto sui cittadini.

La street art delle origini ma anche quella prima del “trauma” di Diamond era un atto di protesta mentre ora la committenza del Comune ha anche regole e censure; Ci sono delle direttive dall’alto alle quali si ottempera, come si colloca la contestazione politica?

D: quando scrivevo all’inizio illegalmente non facevo parte di un movimento politico, scrivevo il mio nome e d’accordo era l’ultimo strascico del movimento di contestazione americano dei graffiti. Dopo essere stato arrestato però, il percorso cambia e diventa più maturo e se arriva la possibilità di avere una prospettiva di lavoro ed un committente che mi chiama non dico io sono un ribelle e attacco il telefono.

S: comunque finora abbiamo dipinto tantissimo a Roma ma non abbiamo mai ricevuto una commissione diretta dal Comune: molti festival come quello del trullo o di Tor Marancia sono autoprodotti e sostenuti da associazioni che sono sì sovvenzionati dal comune ma non hanno un contatto così diretto. Fondazione Roma non mi farà fare sicuramente una donna sgozzata ma anche a me non viene voglia. La censura te la danno gli abitanti stessi e non ho intenzione di provocarli. La politica si può fare diversamente, le cose che non vanno ce le abbiamo sparate in faccia ogni giorno. Dietro una scenetta che appare carina posso nascondere un messaggio molto più sottile ed efficace. Ogni artista sceglie i propri messaggi. A me piace rappresentare qualcosa che possa piacere alle persone che lo vedranno tutti i giorni a differenza di me che lo disegno e poi vado via o di chi lo guarda sui social.

A Valencia avete realizzato un progetto, “Disagio giovanile”, e avete unito i vostri stili…

S: Qui è stato un po’ come in Russia, la difficoltà principale è che tu puoi realizzare quello che vuoi ma poi lo devi saper giustificare. In questo festival, organizzato da street-artist, dal punto di vista del tema e del bozzetto non abbiamo avuto problemi. Il tema trattato era il disagio giovanile e da poco avevo guardato il film di Akira e mi aveva colpito molto, ho fatto 15 screenshot di alcuni fotogrammi che mi piacevano e li ho proposti a Diamond e allora lui ha avuto l’idea di interpretarlo come un incubo. Un incubo che realizza rappresentando la donna classica sdraiata con i fiori. Il mio Akira è talmente slegato al suo soggetto che non può essere altro che un incubo, ecco perché è stato quindi scelto il titolo “incubo in una notte di mezza primavera”, attraverso questa simmetria abbiamo trovato la chiave per unire il tutto. Per quanto riguarda il colore, la storia è totalmente diversa. Il carico a Diamond non è arrivato e allora ha preso i miei colori per realizzare il suo soggetto.

 
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