Odissea e cancel culture: dove si può spingere la censura?
PROEMIO
Cantami o musa l’ira funesta di iconoclasti e ostracizzanti, che tanto vagarono e distrussero le tracce del passato, si potrebbe dire parafrasando e missando i proemi di Iliade e Odissea.
Ha destato scalpore la notizia della cancellazione dell’Odissea dal programma scolastico di una scuola americana, ma è bene fare chiarezza. Riportato da diverse testate con titoli clamorosi dall’evidente intento “clickbait”, il fatto riguarda esclusivamente un caso, nello specifico una scuola nel Massachusetts, e ha riguardato ancora più precisamente una sola professoressa. Heather Levine (l’insegnante in questione) si è dichiarata orgogliosa di aver rimosso il poema omerico dal programma di studio, poiché non è considerato un libro al passo coi tempi e Ulisse sarebbe un esempio di “mascolinità tossica”. Un caso isolato dunque, ma non per questo meno preoccupante, sintomo di un pensiero nocivo sempre più diffuso che vorrebbe cancellare capziosamente alcune tracce del passato perché non sono in linea con i principi odierni. Una deriva quasi grottesca del politicamente corretto, che rischia di rendere inutili tutti gli sforzi e le battaglie sacrosante per una società più giusta ed egualitaria che da anni vengono portate avanti da molti movimenti attivistici. Al grido bieco di “Disrupt Texts” stanno finendo nel mirino man mano alcuni grandi classici della letteratura mondiale (assieme a film e ad altre opere).
Come reagire di fronte a queste vicende? Proviamo ad analizzare il fenomeno e a fornire alcuni strumenti utili per farsi un’idea più approfondita sulla questione. Premessa: è doveroso distinguere il revisionismo storico dalla revisione storica. Il primo è sempre fazioso e posticcio, fatto senza le adeguate competenze e spesso affine a teorie complottiste e negazioniste. Il secondo invece è fatto con cognizione da storici e studiosi, ed è un’operazione critica fondamentale per rielaborare quello che sappiamo del passato (“senza revisione la storia è nulla” ci ricorda lo storico Franco Cardini) . Quindi: revisione sì e revisionismo no!
CADONO LE STATUE
Le prime avvisaglie di questo fenomeno di revisionismo da noi sono arrivate nella scorsa primavera in seguito alle proteste americane del movimento Black Lives Matter. Dopo l’assurda e brutale uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto, in migliaia sono scesi in piazza, carichi di rabbia, sgomento e indignazione, e sono iniziate a vacillare molte statue di vecchi personaggi spesso molto discutibili (negrieri e schiavisti per lo più). In Italia il dibattito si è fossilizzato sulla figura di Indro Montanelli e sulla sua statua in un giardino pubblico milanese a lui nominato. Gli aspetti indubitabilmente scabrosi della sua biografia sono ormai noti a tutti, dalla sua adesione al fascismo alla vicenda della sposa bambina acquistata in Africa. Accusato di pedofilia e razzismo, in tanti hanno chiesto la rimozione della statua (fra l’altro non proprio un capolavoro artistico, per essere gentili). Già imbrattato in passato dal movimento femminista “Non una di meno”, il monumento è stato preso di mira in questa occasione con continui atti di protesta dal valore simbolico. Come sempre accade in queste occasioni il rischio è dietro l’angolo. Esiste un limite etico e cronologico? Andando a ritroso nel tempo è facile trovare aspetti problematici di molti personaggi storici; così nel mondo sono state abbattute o imbrattate statue di Winston Churchill, Cristoforo Colombo e persino di Giulio Cesare.
Se può essere condivisibile la richiesta di togliere da un piedistallo un personaggio molto controverso, è senza dubbio deleterio porre il dibattito in termini semplicistici che polarizzano le posizioni in una infantile divisione tra buoni e cattivi (come quando la maestra affidava l’ingrato compito a un bambino di segnare sulla lavagna chi si comportava bene e chi male in sua assenza).
ACCETTARE LA COMPLESSITÀ CONTRADDITTORIA DELL’UOMO
Si può essere un importante personaggio storico, politico, o un grande artista degno di essere studiato e ricordato nonostante aspetti problematici ai nostri occhi contemporanei? La risposta per noi è semplice: assolutamente sì!
Ernst Jünger ha avuto rapporti col regime nazista ed è criticabile per alcuni aspetti del suo pensiero come per i suoi scritti giovanili militaristi, eppure è uno degli scrittori e pensatori tedeschi più importanti del Novecento, allo stesso modo del francese Louis-Ferdinand Céline, scrittore straordinario e al contempo dichiaratamente antisemita. Gesto di pura provocazione? Ancora più problematici appaiono i casi di Ezra Pound e Pierre Drieu La Rochelle. Ma ce n’è anche per gli intellettuali di “sinistra”. Cosa dire di Pier Paolo Pasolini? Un pedofilo, potrebbero dire i più politicamente corretti; sono note le sue scorrerie notturne alla ricerca di ragazzini spesso al limite della maggiore età con cui aveva rapporti sessuali. Ma possiamo fare a meno di ricordare e anche celebrare un artista così grande, complesso, acuto e lungimirante come Pasolini? Chissà se finiranno presto nel mirino di lesti imbrattatori anche i molti murales che lo ricordano per le strade delle nostre città. Yukio Mishima, figura che è stata spesso accostata al nostro intellettuale organico, è a sua volta un personaggio controverso per aspetti non tanto legati alla sua vita sentimentale, ma alla sua attività politica. L’ideale reazionario di un ritorno (impossibile) al fasto di un giappone imperiale, con tanto di divinizzazione dell’imperatore, era un sogno che si è macchiato di sangue nel suo ultimo giorno di vita, grazie al suicidio rituale che ha compiuto nell'ufficio del generale dell'esercito di autodifesa, occupato insieme alla sua milizia. A proposito di Giappone, Balthus, pittore di bambine ambigue e precoci, sposò Setsuko Ideta, donna nipponica ben trentacinque anni più giovane di lui. I suoi quadri hanno creato scandalo in Germania e negli Stati Uniti, dove durante due mostre si è fortemente dibattuto sul contenuto etico e sessuale della sua produzione (arrivando anche alla censura dei suoi quadri o di fotografie scattate da lui).
Dopo questa carrellata vediamo intrecciarsi sempre più arte e vita, in un intrico fitto e irresolubile, un nodo gordiano che non si può brutalmente tagliare senza peccare di negligenza e arbitrarietà. Bisognerebbe accettare una volta per tutte la complessità umana e anche la sua potenziale contraddittorietà, talvolta ai limiti dell’ossimoro. Gli artisti in questo ne sono l’emblema, così profondi e sensibili nella loro produzione (che sia poetica, pittorica, musicale o registica), e talvolta così miserabili e disumani nella loro vita. Capire e accettare questo sarebbe già un importante passo avanti.
IL CASO ODISSEA
L’anacronistico “scandalo” dell’Odissea prende luogo in un contesto culturale in cui il format della serie televisiva ha preso definitivamente il sopravvento su altre forme di intrattenimento. Già trionfante, tale genere con la pandemia ha avuto un boom incredibile: non si è mai fermata la debordante produzione di titoli targati Netflix e Amazon. Tutti guardano questi prodotti e con il sopravvento di questo formato su quello del cinema si è prodotto un fenomeno interessante: si è verificato il predominio della narrazione “accattivante” sulla forma artistica, sul suo linguaggio specifico. Questo cosa significa? Che la serie non fa che produrre infiniti universi narrativi fatti di personaggi e situazioni (più o meno verosimili o stravaganti) che vogliono coinvolgere in maniera diretta lo spettatore, cercando un’impossibile complicità “senza filtri” con questo. Carismatici e modaioli, nei look e nel linguaggio spesso diretto e spavaldo, protagonisti e antagonisti di questi infiniti racconti diventano veri idoli e modelli. Ma, cosa più inquietante, ci spingono sempre più a dimenticarci che il valore di un lavoro non si misura solamente nella riuscita di un ruolo, di personaggi di cui ci invaghiamo o che detestiamo mossi da odio o brame di gelosia, ma nel più complesso rapporto che tutti gli elementi di un’opera intrattengono fra di loro, e che riguardano l’estetica (che non è la mera immagine patinata e curata), la forza concettuale, la tensione emotiva, il senso profondo.
Tutto questo ci riporta all’Odissea. Pensare di definire Ulisse, o qualche altro uomo dell’antichità descritto nel poema, un esempio di “mascolinità tossica” è un errore che noi riteniamo prodotto di questa grande confusione generata dal proliferare del formato seriale. Tutto oramai ci sembra narrabile nuovamente nello stile che oggi domina il nostro immaginario collettivo, e questo preconcetto radicato di una omni-narrazione, o di una omni-traduzione possibile alla base di ogni lavoro del passato recente o lontano, dai classici antichi e moderni agli harmony e i libri degli youtuber, ci fa dimenticare il citato valore artistico delle opere. Dimentichiamo per un attimo reboot, remake, sequel, spin off. Come pensare che l’umanità di Omero si misuri e si rinchiuda in un personaggio? Come se Ulisse costituisse una “essenza” umana, quella stereotipata dell’archetipo dell’avventuroso o quella azzardata e fuorviante del prototipo dell’uomo borghese di oggi. L’universo omerico, come in generale quello arcaico e classico, è disperso in una miriade di miti e figure oscure, non-umane ma non per questo altre da noi. Basti pensare alle divinità passionali e infantili del pantheon olimpico come alle bestie mitologiche, oscure e misteriose. Ci siamo dimenticati di Freud e di tutta la psicoanalisi dopo di lui, a partire da Carl Gustav Jung e Melanie Klein, che hanno preso a piene mani da questo universo di figure più o meno inquietanti per mostrarci come queste, lungi dall’essere semplici creature fantastiche, mostrino invece l’incarnazione di nostri processi psichici? Delle nostre paure e dei nostri desideri rimossi. Prendiamo Circe: quanto ha in comune questa femme fatale con Medusa, ma anche con la Sfinge tebana? Strega sì, ma a maggior ragione umana, troppo umana. Quindi più che l’uomo singolare, rappresentato nella sua fisionomia umana e quindi interpretabile da un attore, è una più ampia e sfaccettata umanità quella presentata da Omero. Finalmente si rivela l’artisticità del poema epico, grazie alla bellezza, al fascino e alla complessità che entrano in gioco in questo ritratto affatto unitario di quello che siamo ancora oggi.
I “PERSONAGGI” DI QUESTA SERIE CHIAMATA ODISSEA
Un’opera d’arte non è mai ideologica, non educa né fornisce modelli morali da seguire. È la sua stessa esistenza formale e concettuale a creare un labirinto in cui si possono inseguire diverse piste, che sì, possono condurre a una nuova consapevolezza interiore, ma questo percorso fa sempre prettamente parte dell’esperienza del soggetto che si relazione ad essa, che la esperisce. L’arte non garantisce né promette niente, offre solo un’esperienza, che è la cosa più grande che ci possa essere. Una serie tv funziona diversamente, vuole assolutamente farti vivere una certa esperienza, già elaborata e predefinita. Nel mondo delle serie odierne accade anche questo fenomeno: sempre più personaggi incarnano modelli di diversità in cui questo stesso modo di essere è assunto positivamente. Tutto bellissimo, peccato che spesso questo universo in cui il razzismo fra neri e bianchi non esiste, gli omosessuali non sono discriminati e le minoranze si emancipano solo grazie alla forza di volontà è quanto di più astratto e utopico esista, dimenticando la complessità del reale. Abbiamo così dei veri eroi freak, commoventi e ammirevoli, che possono costituire degli esempi adatti un po’ a tutte le generazioni, ma è tutto piatto, e rimaniamo ancora troppo concentrati sui protagonisti di questi mondi fittizi e sulle loro storie.
Ma facciamo un esperimento, isoliamo due personaggi dell’Odissea comunemente visti come “passivi” secondo quest’ottica attuale, e vediamo se sono veramente tali. Pensiamo a Penelope ed Argo. Lei, che di giorno tesse una tela che potrebbe rappresentare le peripezie di questo poema immenso che la notte non può che sfaldarsi, per risorgere sempre uguale e diverso il giorno dopo, è veramente una mogliettina passiva e priva di volontà? Non c’è un fuoco nella sua fedeltà che la accomuna allo stesso enorme lavoro che hanno compiuto i numerosi e anonimi aedi e rapsodi che hanno tessuto quest’opera che chiamiamo Odissea? Passiamo ad Argo, un cane che muore di gioia dopo aver rivisto il padrone, è veramente la creatura inferiore e sottomessa all’uomo che esaurisce così il proprio ciclo vitale? Non c’è una nobiltà e una grandezza in questa morte che lo proietta ben oltre l’etichetta di animale da compagnia? Insomma, le vere opere d’arte offrono sempre prospettive multiple, e per questo al nostro sguardo non si esauriscono dopo un paio di stagioni.
IN CONCLUSIONE: COSA FARE?
La furia ontosa dilagante sembra inarrestabile. Quali saranno i prossimi bersagli? Moby Dick potrebbe essere proibito perché pericolosamente antiecologico in quanto incita alla caccia alla balena, cetaceo gravemente a rischio di estinzione, anche la Commedia dantesca potrebbe rischiare, in quanto ricca di contenuti islamofobi, omofobi e razzisti. I testi di Gandhi andrebbero vietati perché anche il grande Mahatma in gioventù ebbe opinioni razziste nei confronti degli africani. E così si potrebbe continuare a lungo.
Forse sarebbe il caso di scendere dal piedistallo in cui spesso ci ergiamo, e smettere di giudicare il passato con trombe alla bocca e libro in mano come gli angeli del Giudizio Universale. Una volta scesi dal gradino giudicante e tornati al piano del calpestio, sarà il caso di lottare per un presente e un futuro migliori, unendosi alle battaglie giuste di attivisti e attiviste per una giustizia sociale vera, dimenticandoci di slogan beceri e populisti che finiscono per essere più reazionari del progressismo che sbandierano. Infine, è bene sempre ribadirlo, la realtà e la storia sono complesse, vanno studiate e analizzate, non si può ridurre tutto a prese di posizioni apodittiche e non si può spiegare ogni cosa con la banalità di un tweet. La realtà va oltre i 140 caratteri.