Piramidi a Roma: una moda egizia nell’età Augustea

Tra la fine del I secolo a.C. e il II secolo d.C., a seguito dell'annessione dell'Egitto come provincia dell’Impero, si ebbe a Roma una diffusione dei culti egizi e si ricorse anche all'usanza di tumulare i defunti in edifici funerari che ricordavano nella forma quella delle grandi piramidi dei Faraoni.

In base a documentazioni autorevoli e a qualche fonte visuale si sa con certezza che a Roma furono costruite almeno tredici piramidi, tutte andate distrutte tra il Medioevo e l’epoca rinascimentale, di cui la sola ancora esistente è la Piramide di Caio Cestio.

Questa Piramide, posta nel quartiere Ostiense nelle immediate adiacenze di Porta San Paolo, spicca nel contesto urbano per le sue notevoli dimensioni e il bianco candido che le conferisce il marmo di cui è rivestita.

È ben nota ai romani che l’hanno assunta come riferimento geografico nella città e anche ai turisti che erroneamente credono, e non sono i soli, che rappresenti un unicum nel patrimonio archeologico romano.

La singolare genesi della costruzione di questa piramide è dovuta al testamento disposto da Caio Cestio, un politico romano e un membro del collegio sacerdotale degli epuloni che aveva il compito di organizzare i banchetti sacri per rendere onore a Giove Capitolino.

Cestio infatti dispose nel testamento che il suo sepolcro dovesse essere costruito in forma di piramide e tassativamente entro 330 giorni, pena la perdita per gli eredi del ricco patrimonio; di ciò si ha notizia da una iscrizione su un fianco del monumento.

Il monumento funebre fu innalzato forse anche in meno giorni nel periodo tra il 18 e il 12 a.C., anno della morte di Agrippa, genero di Augusto, menzionato tra i beneficiari del testamento.

In tempi successivi la piramide fu incorporata nella cinta muraria costruita tra il 272 e il 279 d.C. su iniziativa dell’imperatore Aureliano e questo probabilmente l’ha preservata dalla sua distruzione.

La struttura, alta più di 36 metri e a base quadrata di circa 30 metri di lato, è composta da un nucleo di calcestruzzo con cortina di mattoni; una comparazione della forma con le Piramidi di Giza rivela che la resistenza strutturale del calcestruzzo ha permesso di costruire la piramide romana secondo un angolo molto più acuto di quelle dell'Egitto.

Il rivestimento esterno è costituito da lastre in marmo lunense e su due lati è incisa l'iscrizione che riporta il nome e i titoli di Cestio.

Il monumento era circondato da una recinzione in blocchi di tufo, ancora parzialmente in vista, e aveva quattro colonne agli angoli, di cui ne restano due nel lato dell'ingresso, e due statue del defunto ai lati della porta d’ingresso.

La camera sepolcrale, di circa 24 mq. e con volta a botte, fu murata al momento della sepoltura secondo l’usanza egiziana.

Al Medioevo risalirebbe la prima violazione della tomba quasi certamente riuscita   attraverso un cunicolo scavato sul lato settentrionale, ciò che ha comportato la perdita dell’urna cineraria e del probabile ritratto del defunto.

Le pareti sono decorate a fresco secondo uno schema decorativo a pannelli, all’interno dei quali si distinguono figure di sacerdotesse e anfore di stile pompeiano; in alto, agli angoli della volta, quattro vittorie alate recano nelle mani una corona e un nastro.

Il restauro della cella sepolcrale è stato realizzato dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nel 2001, mentre quello relativo all'esterno della piramide è stato realizzato nel corso del 2014 grazie a un cospicuo finanziamento di un imprenditore giapponese

Fonti storiche, come si è detto, parlano di altri sepolcri piramidali tra i 40 e i 50 metri costruiti a Roma, ma solo di pochi di essi se ne conosce la consistenza reale e la dislocazione.

Rodolfo Lanciani, famoso archeologo e topografo nonché autore dell’opera Forma Urbis Romae – la più grande pianta urbana di Roma antica che sia stata mai disegnata –, parla di un’altra piramide conosciuta sotto il nome di Méta di Borgo.

La denominazione di méta era dovuta al fatto che la sua forma ricordava quella dei pilastri usati negli antichi circhi per delimitare le due estremità della pista.

Tale monumento, chiamato nel Medioevo anche Méta Romuli perché la piramide Cestia era detta anche Méta Remi – ma anche erroneamente Sepulcrum Scipionis –, si trovava in un’area cimiteriale tra il Mausoleo di Adriano e il colle Vaticano, all’inizio dell’attuale Via della Conciliazione dove la via Cornelia incrocia la via Trionfale.

Alcune tracce, infatti, sono state rinvenute durante la costruzione del Palazzo Pio, sede della Radio Vaticana e dell’Auditorium della Conciliazione.

Pirro Ligorio, archeologo del '500, nella sua opera Antiquae Urbis Imago del 1561, una pianta dell’antica Roma, aveva già riportato in essa una ricostruzione fedele della Mèta di Borgo, così come avevano fatto alcuni artisti tra i quali Giotto, Raffaello e Cimabue che la raffigurarono inserendola nello sfondo di alcune loro opere.

Aveva forma di piramide a base quadrata ed era rivestita in lastre di marmo mentre il nucleo interno era a piccole scaglie di tufo; in mancanza di altri elementi, si può datare alla fine dell’età repubblicana come quella di Caio Cestio.

La Méta Romuli fu quasi completamente demolita a partire dal 1499 su ordine di papa Alessandro VI che, in previsione del Giubileo del 1500, volle aprire nel Borgo Nuovo la via Alessandrina per collegare Ponte Sant’Angelo con la basilica di San Pietro.

Si sa poi, con l’acquisizione di elementi fondati, di altre due piramidi, gemelle e disposte una a poca distanza dall’altra, molto simili per forma e dimensione alla Piramide di Caio Cestio alla distrutta Piramide Vaticana.

Si trovavano esattamente sotto la due chiese gemelle di Piazza del Popolo, la basilica di Santa Maria in Monsanto e la chiesa di Santa Maria dei miracoli, entrambe realizzate in stile barocco e completate nel 1679 sotto il pontificato di papa Alessandro VII.

Santa Maria in Montesanto, edificata tra via del Corso e via del Babuino e oggi nota come Chiesa degli artisti, fu costruita dal Bernini mentre Santa Maria dei Miracoli, collocata tra Via del Corso e Via di Ripetta, fu iniziata dall’architetto Carlo Rainaldi e ultimata da Fontana sotto la direzione di Bernini.  

Come fondazioni delle due chiese furono utilizzate le basi delle due piramidi troncate della parte cuspidale e per la loro costruzione venne reimpiegato il materiale marmoreo che le rivestiva.

Le Piramidi gemelle avevano potuto essere erette perché il sito era posto fuori dal Pomerio, il confine sacro e inviolabile della città, e quindi, come disposto dalla Legge delle XII Tavole, vi si potevano seppellire i defunti.

La conferma della loro esistenza è stata data da rilievi effettuati in occasione di recenti lavori di restauro delle due chiese; questi due sepolcri dovevano risalire anch’essi all'età Augustea ed erano posti a ingresso monumentale al Campo Marzio per chi proveniva dall’antica via Flaminia ed è proprio la stessa funzione che oggi svolgono le due chiese.

È del 2015 il rinvenimento da parte di un team di archeologi e architetti diretto da Rita Paris, allora direttrice del Parco Archeologico dell’Appia Antica, di un’ulteriore piramide ridotta a un imponente rudere edilizio.

Il conglomerato, alto circa venti metri, si trova in prossimità dei tumuli degli Orazi, dal lato della Villa dei Quintili.

Sono stati rinvenuti blocchi di marmo scolpiti con la raffigurazione di una sfinge e frammenti di statue riaffiorati dagli strati di terra ai piedi del monumento.

Non si è stati in grado però di stabilire chi fosse il committente della realizzazione della piramide in quanto non sono stati trovati fregi, iscrizioni o elementi architettonici che consentissero di poterlo identificare.