“L'età delle madri”: l'esordio letterario di Vittorio Punzo

 

Non vorrei cominciare con le solite domande, ma con qualcosa che mi ha colpito molto. Una tua frase, più o meno a inizio romanzo: “Oggi è il giorno del fiume”. Subito, questa frase, mi ha spiazzato. Poi ho capito. Domenico, il protagonista, con Mari V., da giovanissimi innamorati quali sono, si ritrovano spesso assieme a guardare il fiume. E il fiume cambia nel corso del romanzo. Dal fatto che l'acqua scorra, poi diventa stantia, melmosa, stagnante. E io amo i simbolismi, quindi ti chiedo, questo è un simbolismo voluto?

 

Sì, ma non solo, il romanzo è tutto pieno di simboli. Io ho usato il fiume come un correlativo-oggettivo. Il fiume accompagna le emozioni dei personaggi, e di Domenico soprattutto. È un luogo importantissimo. Ti dico, lo è stato proprio per me, che ho frequentato il fiume di paese, il Volturno, veramente tanto, e nella mia vita mi è successo di tutto, giù al Volturno.

 

Per esempio?

 

Ce ne sono tanti, ma per esempio una volta, da piccolino, dodici anni, con un amico, senza cellulare, sono rimasto lì una notte intera. Non avevamo avvisato nessuno che saremmo andati a pescare, e nessuno è venuto a prenderci. Considera che il fiume era lontano da casa nostra, che stavamo in campagna. E si mise pure a piovere. Con noi lì, bloccati, senza che nessuno sapesse dove fossimo. Questo tipo di esperienze hanno fatto sì che il fiume diventasse per me un luogo magico.

 

Magico in che senso?

 

Perché ogni volta che ci torno lo trovo cambiato, pare sempre di stare in un luogo esteticamente diverso e in questo senso, se vuoi, è uno spazio liminare – sai che  ieri non è come oggi e non sarà domani. Uno spazio instabile, ecco, come instabili sono i personaggi del libro. Crescono come piante sull'argine e sfuggono trascinati dalla corrente. Per Domenico e Maria Vittoria è il luogo dove farsi le confidenze, dove poter comunicare il loro mondo interiore. Ma non solo. C'è un passaggio dove fanno un bagno e poi si ritrovano dall'altra parte, cioè sull'altra riva, senza rendersene conto. È un luogo pieno di energia e mistero il fiume, un luogo che ha portato la mia penna ad andare al di là seguendo un suo percorso per raccontare fenomeni che vanno oltre la razionalità e sono puro intuito che sfiora l'onirico.

 

Quindi quello di Domenico, il tuo protagonista, in relazione al fiume, può essere considerato un modo per enfatizzare il fatto che lui, da ragazzino, si spinga ben oltre le sue capacità di comprendere la sua ragazza, Maria Vittoria, appunto, ma soprattutto quelle della madre di lei, Anna?

 

Certo. Quello che fa Domenico, è cercare di scoprire delle profondità emotive. Una faticaccia, no?

 

Infatti a un certo punto per Domenico tutto questo sembra troppo, o sbaglio? Io ho in mente quel passaggio dove dal fiume lui comincia a pensare ad una zattera che possa riportare insù, fino all'origine di tutto…

 

Vero. E infatti Domenico, da un certo punto in poi, non fa altro che manifestare, senza mai ammetterlo, questo suo desiderio di voler tornare indietro. Ed è quella cosa che dicevi tu, citando quella volontà di risalire il fiume con la zattera. È un altro simbolismo. Lui non lo dice mai, ma si capisce che vorrebbe tornare all'inizio...

 

Il tuo romanzo è tutto un po' sospeso dentro un'atmosfera sognante. Ma allora chi è Roma? Perché c'è questo personaggio che mi ha lasciato dei dubbi, in senso buono, e che ogni tanto subentra e sembra voler riportare Domenico ad un dimensione abitudinaria, prima che il protagonista conoscesse Maria Vittoria e la madre Anna… Queste incursioni di Roma, fanno pensare ad un Domenico diverso, da quello presentato nel romanzo, forse più ragazzino, come effettivamente è, insomma, ad un Domenico più spensierato. E lui sembra trattarla con distacco, Roma, proprio perché, secondo la mia impressione, Domenico non vuole rientrare nel quotidiano...

 

Mi interessa molto il fatto che tu dia per scontato che Roma sia una Lei… E lo dico perché in realtà ho voluto creare un'ambiguità di genere, quando in realtà ciò non è assolutamente importante. Infatti tra chi ha letto il romanzo c'è chi mi dice con convinzione che sia un Lui. E io, di solito, in ogni caso, dico ok, è esatto.

 

(ride, ed io con lui)

 

E Roma, in termini narrativi, ha esattamente la funzione che hai detto tu, ma in realtà, non saprei manco io… E cioè: Roma, esiste o non esiste? È come una voce che hai nella testa.

 

Un po' come una specie di coscienza, insomma, una sorta di grillo parlante, potremmo dire, è esatto?

 

Sì. È l'alter ego di Domenico. È la vocina nella testa che gli dice: Torna indietro, torna al tuo luogo ideale. Ma lo avverte senza mai dirgli che lì, attento, guarda che c'è un pericolo, perché quella vocina non ne è in grado, e nemmeno Domenico, appunto. Però Roma gli domanda: Tu hai spazio abbastanza nello stomaco? Davvero ce la fai ad affrontare questa situazione? Sai come stare all'esistenza di Anna…?

 

Ecco, a questo proposito, andiamo al dunque. Io ho sentito Domenico come un personaggio che occupa uno spazio vuoto. Ovvero la casa di Mari V e della madre. Uno spazio che non è solo casa loro, ma è soprattutto emotivo. Ed è un  spazio che lui, all'inizio, occupa tranquillamente. Domenico, per come l'ho percepito io, è molto orgoglioso di sentirsi uomo. L'Uomo di casa. Ci sono dei momenti in cui beve e fuma senza problemi, assieme ad Anna che lo sprona a farlo, ma non solo, mi ha colpito molto di più il fatto che spesso Domenico se ne sta seduto. Lui e Anna spartiscono il silenzio assieme.

 

Sì, perché è lì che Domenico trova lo spazio dove evolvere. In quella casa lui può guardarsi dentro. È la sua prima occasione di esplorarsi, di capirsi, prima ancora di riuscire a capire qualcun altro. E poi mi piace questa cosa che hai detto… del silenzio. Perché sì, Domenico, di fatto, in quella casa impara a stare zitto. È una cosa difficile da conquistare il silenzio. Mi diverte un sacco quando Domenico e Anna se ne stanno zitti e fermi.

 

Ecco. Parliamo del rapporto tra Domenico e Anna. Domenico in quella casa si sente adulto, beve e fuma sigarette nonostante la giovane età, quasi come uno svezzamento, e lì si sente a suo agio. Però, secondo me, non è più solo un ragazzino, dentro a quell'involucro che è la loro casa. Poiché là dentro, almeno per me, ho avuto la percezione che Domenico si sentisse come un padre… E non solo per Maria Vittoria, ma un padre anche per la madre, o comunque per entrambe…

 

In questo romanzo solo un personaggio non è ambiguo. 

 

Il fulcro della narrazione è Anna… Questo personaggio sfuggevole e affascinante… Domenico cerca quasi di imitarla nei suoi atteggiamenti, o mi sbaglio?

 

Domenico cerca di continuo di mettersi nei panni di Anna. Lo fa quasi come una continuazione di sé stesso. Lo fa soprattutto all'inizio, per sentirsi grande. Il problema del passato di Anna viene dopo. Domenico per essere grande, per sentirsi adulto ed essere accettato da un adulto cerca di mettersi allo stesso livello emotivo di Anna ma fa lo sbaglio di imitarne i gesti.

 

E infatti questa cosa mi ha toccato parecchio. Ossia il fatto che a un certo punto Domenico si rende conto che l'essere adulto sta anche nel fatto di dover affrontare certe cose, e che non è pronto per tutto questo… è un po' come se Domenico avesse voluto bruciare le tappe, non è così?

 

Esatto.

 

Riguardo a questo, ecco, ci sono dei momenti in cui Domenico mi ha messo tenerezza. E cioè quando lui, da solo con sé stesso, ha delle piccole regressioni infantili, ma in senso buono, intendo. Come quando parla con la pianta di limoni…

 

Questo perché Domenico non cerca di spiegare e di definire attraverso dei concetti, ma attraverso gli elementi recepiti dai sensi. Le cose nella sua tesa penzolano in forma di dialoghi immaginari. Gli oggetti comunicano: non è animismo è semplice ingenuità. Ogni oggetto così ha una sua funzione, come nel cinema, dalla gatta Tina alla Kentia. Questo è legato a una cosa che mi piace fare, e che in questo libro ho fatto automaticamente, e cioè guardare i fatti da distanze focali differenti. Da lontano, ma anche da molto molto vicino. È soprattutto un modo per variare i registri, come disse qualcuno: la vita è tragedia se la guardi in primo piano e commedia se la guardi in campo lungo.

Questo il mio tentativo di dare significato alle cose e al mondo. Può essere considerato infantile, ma è qualcosa di utile, in un certo senso. Utile per Domenico, certo, ma non solo, penso per chiunque.