Pittura e musica: gli asparagi di Battiato, la mela di Branduardi e gli zingari di Van Gogh.

La pittura e la musica sono due espressioni artistiche profondamente diverse, ciononostante nel corso della storia sono andate spesso a braccetto, si sono spalleggiate e supportate vicendevolmente. Dal mito di Orfeo che incantava gli animali col suono della lira, rappresentato spesso nel mondo antico e nuovamente nel Seicento, alle nature morte con strumenti musicali, così in voga dal Rinascimento in poi, fino al legame fondamentale e indissolubile che la musica ha avuto con la pittura astratta, quella di Kandinskij in particolare, che componeva i suoi quadri come spartiti musicali.

Passeggiando per le grandi sale dell’Alte Pinakothek di Monaco, una mattina di qualche tempo fa, mi sentivo particolarmente ispirato, e per ogni dipinto che vedevo mi veniva in mente un passo di una canzone. Era come se il pittore e il cantante avessero concordato insieme di trasporre su tela il testo, o viceversa, o addirittura come se fossero la stessa persona. Canticchiando divertito ho pensato fosse un’idea simpatica per una rubrica: pittura e musica.

Vi proporrò allora di volta in volta tre dipinti accompagnati da un brano musicale, cercando di raccontare brevemente qualcosa sull’uno e sull’altro.

Natura morta con asparagi, Francesco Trombadori, 1928 ca., Galleria d’Arte Moderna di Roma.

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Pittore al quale la fama e la notorietà non hanno ancora arriso granché, Trombadori fu un abile paesaggista e pittore di nature morte. Siculo di nascita e romano di adozione, questo quadro fu composto alla fine degli anni Venti del Novecento, anni in cui le avanguardie stavano mettendo in discussione le fondamenta della pittura stessa. Protagonista del quadro è un mazzo di asparagi, slegato, appoggiato sul tavolo in legno di cui si vedono le nervature come vene. Bagnati da una luce potente e diafana gli asparagi diventano candidi, quasi eburnei. Il bel piatto in porcellana e la brocca sono di una resa pittorica squisita, testimoni dell’abilità del Trombadori naturamortista.

Testamento, Franco Battiato, 2012.

Tratto da “Apriti sesamo”, ventinovesimo album in studio del grande cantautore, Testamento è un brano alla Battiato in pieno stile: filosofia, religione, reincarnazione, riferimenti danteschi e una poeticità sottile e divertente. Il musico fa testamento, lascia i suoi esercizi sulla respirazione, le sue audaci riflessioni giovanili e ricorda che della vita apprezzava ogni cosa:

“E mi piaceva tutto della mia vita mortale
Anche l'odore che davano gli
asparagi all'urina”.

 Adamo ed Eva, Albrecht Durer, 1507, Museo del Prado.

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La storia dei nostri progenitori è celeberrima, non servono riepiloghi. Il più grande artista tedesco del Rinascimento mette su tavola quanto appreso dal suo primo viaggio in Italia, realizzando i primi nudi a grandezza naturale dell’arte tedesca con uno studio anatomico impeccabile. Eva coglie la mela che il serpente infingardo le offre, lei e Adamo sono sereni, non consapevoli della tragica punizione che spetterà all’umanità per quel semplice gesto.

Cogli la prima mela, Angelo Branduardi, 1979.

Calza a pennello la canzone che dà il titolo al quinto disco del menestrello di Cuggiono. Rielaborazione di una melodia medievale ungherese, il brano è una sorta di ballata tinta di folk. Il senso della canzone chiaramente non ha a che vedere col Peccato originale, piuttosto inneggia a non sprecare il tempo, ad amare e godere della giovinezza, un inno alla vita e alla gioia.

“Cogli la prima mela
Bella che così fiera vai
non lo rimpiangerai.
Cogli la prima mela
cogli la prima mela
cogli la prima mela – a”

La carovana di zingari vicino Arles, Vincent van Gogh, 1888, Museé d’Orsay.

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Van Gogh non è propriamente un pittore gioioso, allegro e leggero. I suoi disturbi mentali sono noti, la vicenda dell’orecchio e il suicidio celebri, eppure il grande pittore olandese ha avuto anche fasi della sua pittura piene di vitalità, dove la tavolozza si schiariva e lasciava il posto a colori chiari, accesi. Non più i neri, i grigi e i marroni dei “Mangiatori di patate” e delle nature morte, ma gialli intensi dei campi di grano e blu elettrici dei cieli. Un quadro che ho scoperto solo di recente ha catturato fortemente la mia attenzione, si tratta della raffigurazione di una carovana di zingari, incontrata dal pittore nei pressi di Arles, dove si era trasferito nel 1888. La scena è quieta, di una pacatezza tipica del meriggio estivo postprandiale, e gli zingari sembrano dei circensi, ma della loro identità non ci è dato sapere.

Ho visto anche degli zingari felici, Claudio Lolli, 1976.

Guardando il quadro di Van Gogh mi è arrivata come un lampo, subitanea, la bellissima canzone di Claudio Lolli, cantautore bolognese scomparso due anni fa e rimasto fuori dagli allori di buona parte del grande pubblico. Il brano è tratto dall’album omonimo, il quarto in studio, che prende a sua volta il nome dal film di Petrovic vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria alla ventesima edizione del Festival di Cannes. La musicalità del brano e dell’intero disco si muove tra il progressive e il jazz, con molti assoli di sax, come quello che apre il pezzo qui proposto. Gli zingari di Lolli non sono i Rom di Van Gogh o quelli cantati da De André, ma sono i giovani alternativi di quei tormentati anni Settanta, giovani che sono per il cantante come zingari felici.

“E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri
E odiamo tutte le nostre donne e tutti i nostri amici.
Ma ho visto anche degli
zingari felici corrersi dietro,
Far l'amore e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici in piazza Maggiore
A ubriacarsi di luna,
Di vendetta e di guerra”