Mantova: alla corte dei Gonzaga
‘’Fer la città sovra quell’ossa morte; e per colei che l’oco prima elesse, Mantüa l’appellar senz’altra sorte” (Divina Commedia, XX canto dell’Inferno)
Se lo stesso Dante non potè far a meno di cantarla nella sua opera è perché Mantova, oltre a dare la genitura a Virgilio, durante il Medio Evo assunse il ruolo di importante centro culturale e politico d’Europa, portato all’apice sotto la guida della famiglia dei Gonzaga.
Salendo su dalla A22 non se ne percepisce il forte connotato storico, eppure Mantova non è inferiore per interesse culturale a città ben più note.
Sorge sui laghi formati dal Mincio, che la circondano per i tre quarti. Se ne coglie subito il valore difensivo, che ha concesso alla città di essere facilmente difesa e di poter restare sotto l’egemonia dei Gonzaga dal 1328 al 1707, anno in cui passò sotto l’Impero Asburgico.
Lo sviluppo artistico della città non inizia con i Gonzaga, ma ben un secolo prima quando nel 1246 dopo anni di guerre con veronesi, reggiani e cremonesi iniziò un periodo di pace. Ed è in questo momento che viene edificato uno dei simboli della città: il Palazzo del Podestà, ora in fase di restauro per divenire la sede del Municipio.
Sotto la corte dei Gonzaga si ha il massimo sviluppo della città. Vennero chiamati i più grandi architetti e artisti dell’epoca: tra tutti Leon Battista Alberti, Giulio Romano e Andrea Mantegna.
Gironzolare tra i vicoli è un vero e proprio piacere, tra monumenti e odori ogni senso viene colpito. Come sempre, bisogna armarsi di scarpe comode e di una cartina, giusto per orientarsi un poco: le piccole dimensioni della città difficilmente danno un senso di smarrimento e basta girare l’angolo per ritrovarsi in vie conosciute.
Facendo un percorso da Sud verso Nord, tra le prime attrazioni turistiche troviamo Palazzo Te.
Nato inizialmente come luogo di addestramento dei cavalli, con Federico II trova presto ben altro utilizzo. Viene trasformata in una “isola felice’’, un luogo di riposo dove allontanarsi dagli impegni istituzionali e per ospitare sfarzosi ricevimenti. L’Architetto, Giulio Romano, ben sposa l’idea di un recupero di base delle vecchie domus romane del signore di Mantova.
L’edificio si sviluppa su di un piano solo a pianta quadrata, al centro un grande giardino, anch’esso a pianta quadrata, un tempo decorato con un labirinto.
In fondo al giardino a chiudere il palazzo vi è l’emiciclo dell’esedra, costituto da una serie di archi.
Di grande impatto sono le stanze, come di consueto a tema. Tra queste la più affascinate è ‘’La Sala dei Giganti’’, dov’è rappresentato in un solo grande affresco la battaglia tra i giganti che cercano di salire all’Olimpo e Zeus. La stanza non presenta angoli, ciò nega al visitatore un qualunque punto di riferimento catapultandolo dentro il mito.
La Sala dei Cavalli è la sala principale per gli eventi mondani. Vi sono rappresentati, a grandezza naturale, i sei destrieri preferiti di Federico, tra di essi sono rappresentate delle finte nicchie che ospitano figure di divinità mitologiche.
La Sala di Amore e Psiche è una delle sale più affascinanti del palazzo. Essa è una rappresentazione simbolica dell’amore del duca per Isabella Boschetti, sua amante. Ogni parete raffigura la mitologia di Amore e Psiche prese da ‘‘Le metamorfosi’’di Apuleio.
Le occupazioni spagnole, francesi e austriache dal 1700 in poi, fecero del palazzo una caserma e un deposito armi; e la regalità e le bellezze del palazzo, un tempo oggetto di invidia delle corti europee, vennero danneggiate.
Lasciato il Palazzo Te e incamminandosi su, verso i laghi, si è obbligati a passare per la piazza più importante di Mantova: Piazza delle Erbe. Si può considerare il centro vero e proprio della città. E a distanza di pochi metri si possono vedere la Rotonda di San Lorenzo, la Torre dell’Orologio, Palazzo della Ragione e il palazzo del Podestà; diametralmente opposti vi sono la Basilica di Sant’Andrea, di Leon Battista Alberti, e la Casa del Mercante.
Quest’ultima cattura l’occhio del visitatore per lo stile ‘’stravagante’’. Boniforte da Concorezzo la volle con un forte stile veneziano, difatti la facciata è fatta in cotto con decorazioni tipiche di Venezia.
Di fronte alla Casa del Mercante c’è la Basilica di Sant’Andrea, progettata dall’architetto Leon Battista Alberti ma conclusa molti anni dopo la sua morte, anche a causa dei molteplici blocchi dei lavori. La costruzione fu iniziata nel 1460 e terminata solo nel 1530. La particolarità della chiesa è la facciata: non più una sola facciata ma un vero e proprio Monumento, tutta la facciata non è altro che una riproduzione di un vero e proprio Arco di Trionfo usato anticamente dagli antichi romani per omaggiare il comandante vincitore.
L’interno è a croce latina a navata unica, il soffitto a botte con lacunari, mentre ai lati si aprono delle cappelle a base rettangolare con ingresso che richiama l’arco a tutto sesto della facciata.
La crociera è coperta da una cupola, aggiunta solo nel 1732, mentre il campanile in stile gotico ospita cinque campane ottocentesce, ognuna di esse produce un suono diverso: La2, Do#3, Mi3, Fa#3, La#3.
Spostandosi verso il complesso più grande il primo monumento che incontriamo è la Rotonda di San Lorenzo. Un edificio di chiara connotazione romana, forse un tempio o una tomba tholos, poi recuperato ad uso di chiesa cattolica, collocato ben al di sotto dell’attuale piazza, di ben 150cm. La storia dell’edificio è molto avventurosa in quanto ci furono ben due progetti per ritrasformarlo, uno di Leon Battista Alberti e un altro di Giulio Romano, ma nessuno dei due venne attuato e l’edificio venne prima abbandonato e poi trasformato in magazzino. Nel 1908 ne venne autorizzata la demolizione e la Rotonda che era stata sovrastata da altre strutture venne così liberata e si decise di ricostruirne la cupola, tant’è che nel 1926 venne riconsacrata e riaperta al pubblico.
Il Palazzo del Podestà, ora in fase di restauro, venne edificato per volere di Laudarengo Martinengo, regnante di Mantova dal 1226 al 1227, il quale volle far collocare anche una statua di Virgilio in Cattedra in memoria del poeta latino.
Proseguendo il nostro cammino arriviamo in Piazza Sordello, sede del vero potere durante la reggenza dei Bonacolsi prima e dei Gonzaga poi.
La residenza dei signori di Mantova è la sesta reggia più grande d’Europa con i suoi 35.000mq.
Conta più di 500 stanze e racchiude 7 giardini e 8 cortili. Nei quattro secoli di dominazione gonzaghesca la reggia si espanse gradualmente sia per le modifiche dei vecchi edifici sia per l’aggiunta di nuovi. Si vennero cosi a formare diversi nuclei che presero il nome di:
-Corte Vecchia, comprendenti gli edifici più vecchi
-Domus Nova
-Corte Nuova, posta di fronte al lago inferiore
-Basilica palatina di Santa Barbara
Il palazzo si presenta quasi spoglio poiché i Gonzaga, in ristrettezze economiche, iniziarono a vendere le opere d’arte e gli arredi. Entrando nel Palazzo Ducale, tra i primi dipinti che si possono vedere vi è ‘’Cacciata dei Bonacolsi’’, storico dipinto che racconta la presa di Mantova da parte di Ludovico I Gonzaga nel 1328, commissionato da Francesco II Gonzaga nel 1494.
Delle 500 stanze che compongono il palazzo, la più conosciuta è la Camera degli Sposi, che fa parte del comprensorio del Castello di San Giorgio nel torrione Nord-Est ed è stata affrescata dal pittore di corte, Andrea Mantegna. Nonostante il nome, derivato da un affresco che raffigurava Ludovico III Gonzaga accanto alla moglie, la camera aveva più una funzione di studio, anche se nel tempo svolse anche la funzione di magazzino. Gli affreschi della stanza riguardano l’elezione al soglio cardinalizio del figlio, Francesco Gonzaga, e due affreschi ne raccontano la storia: in uno il padre che ne riceve la notizia e nell’altro l’incontro tra il padre e il figlio. Il Mantegna studiò bene la struttura della stanza in modo tale da sfondare illusionisticamente i limiti architettonici, dando cosi l’impressione al visitatore di uno spazio ben più ampio.
A volersi allontanare da Mantova, a solo 10 minuti, c’è il paesino di Grazie, che ospita il Santuario della Beata Vergine Maria delle Grazie.
Costruito attorno all’anno 1000, inizialmente era un semplice capitello al cui interno fu posta, dai barcaioli della palude del Mincio, una tavola della Vergine con Bambino. L’aumentare dei pellegrini fece si che venisse affiancato da un oratorio gestito dai frati francescani affinche ne accudessero l’immagine sacra.
Nel 1399 Francesco Gonzaga ordinò che venisse eretta una grande Basilica, come ex-voto alla Madonna delle Grazie per la cessazione della peste che aveva colpito la città.
Tra il Quattrocento e il Seicento, il santuario conobbe il suo massimo splendore, architettonico e artistico, con l’ampliamento della Basilica con un porticato premesso alla facciata, di un grande convento e di una ampia piazza.
Sotto gli austriaci, il Santuario, conobbe il suo periodo più buio. Venne inizialmente chiuso dall’Imperatore d’Austria Giuseppe II e fatto diventare un ospedale e con l’occupazione da parte dei francesi vennero cacciati i francescani dal convento, ne segui un periodo di abbandono e di devastazioni anche a causa delle continue guerre.
Il Santuario riprese a vivere nel 1855 grazie al Vescovo Corti che ne riaccese la funzione sacrale.
La Basilica si presenta a navata unica con una serie di volte a vela. La peculiarità della Basilica non sono i quadri o le sculture, ma a renderla unica sono le marionette. Esse decorano i muri del Santuario e sono immagini di personaggi famosi che fermandosi in questo luogo decisero di lasciare una marionetta a loro somiglianza. Ma le sorprese non sono finite, sul soffitto vi è appeso qualcosa di insolito. In quegli anni, infatti, era usanza dei nobili adornare le case con animali esotici e inusuali, cosi il ritrovamento di un animale esotico nel Mincio da parte dei pescatori divenne un dono di ‘‘abbellimento’’ per il Santuario. Di che animale si tratta? Toccherà a voi scoprirlo!.