Pär Lagerkvist, “Il nano”

Dall’oscurità di un grembo umano è nata una creatura di una razza differente, un nano.

Il nano non ha nome, ma non gli difetta: dopotutto, dice egli stesso, i nani non sono esseri umani, sono una stirpe più antica, le leggi che li governano sono diverse.

Il nano scrive di sé e del mondo in cui vive su un diario, dando al lettore umano un’altra prospettiva: dal basso, in silenzio e in solitudine le cose appaiono in modo diverso.

Il nano perciò osserva, spesso dal buio, talvolta non visto, fissando i suoi gelidi occhi, che non riescono a vedere le stelle, sulle persone e sul compiersi delle azioni.

Il nano, soprattutto, odia. Odia tutto ciò che è umano, in massima parte tutto ciò che è corporeo.

Alla corte del principe di un’imprecisata città italiana rinascimentale il nano attinge il nero veleno che gli fa da inchiostro. È un mondo, questo, frutto di una fantasia che enfatizza il lato oscuro della storia, grazie alla distanza che accresce l’aura estremizzante delle caratteristiche imperiture dei potenti, dei devoti, degli sciagurati.

Questo gioco al passato, questa ambientazione sfiorante la favola è proprio l’aspetto che meno ho apprezzato del libro. Lagerkvist ha evocato luoghi e personaggi che, chiamati con un altro nome, suggeriscono veri luoghi e veri personaggi storici. In particolare, la figura di Bernardo, artista e scienziato che indaga la natura e la scienza e che mai porta a compimento le sue pitture è facilmente identificabile con Leonardo Da Vinci. Di conseguenza è probabile che la città dove vive il nano sia Milano. Non è importante che Bernardo sia Leonardo e che si trovi a Milano, ovviamente, non è questo il punto. Mi sono chiesto se forse questo gioco non abbia in realtà più successo con un pubblico non italiano e se sia questo il mio problema. Può giocare a mio svantaggio il fatto che “Rigoletto” sia una parte tanto pregnante della cultura italiana?

Il punto è che avrei preferito leggere di un mondo o completamente immaginario o completamente esplicitato. Non ha senso, per me, citare la precisione di alcuni riferimenti per poi adagiare nella fumosa incertezza dell’immaginazione la sola città del nano. Forse, nel mondo plausibile di un passato favoleggiato, Lagerkvist ha voluto collocare la città del nano in un limbo che ne accentuasse l’oscurità a diretto confronto con una realtà conosciuta e quindi più rassicurante? Forse, se il mondo del nano fosse stato esclusivamente di fantasia, la sua storia avrebbe avuto una forza meno inquietante?

Mi pongo ancora queste domande e non sono certo della riuscita della trovata anzi, mi perdoni Lagerkvist, sono certo di questo suo piccolo fallimento. Basta recuperare dalla memoria l’esempio glorioso di “Hop-Frog” di Poe per rendersi conto che la nera forza del terrore non teme di essere smorzata dall’indefinitezza dell’ambientazione.

Non ho amato neanche la lunga sezione dedicata alla campagna militare del principe: l’ho trovata ridonante, troppo didascalica. In questo libro non ha importanza, per me, tracciare con tanta precisione e profusione di particolari le vicende di una guerra immaginaria. Questo inciampo rischia di trasformare “Il nano” in un altro tipo di romanzo, un romanzo di vicende, quasi d’avventura.

Ma “Il nano” è un romanzo diverso, ed è un bel romanzo che mostra le sue migliori qualità quando, terminati i giochi e gli ammicchi al neo-rinascimento, il nano smette di descrivere le vicende e si mette a rielaborare e a commentare le conseguenze di quelle vicende.

Attraverso di lui osserviamo gli effetti devastanti della guerra, della malattia, del fanatismo e della violenza sugli uomini.

Davanti allo sguardo implacabile del nano, miracolosamente immune ai pericoli della battaglia e della peste, gli uomini e le donne vanno incontro allo sfacelo, ad ogni orrore che possa colpire un essere umano. Più cresce l’orrore più il nano ne è disgustato, ma non per l’affiorare dell’empatia. Il nano disprezza gli effetti corporei del male, non le sue cause, anzi! È un entusiasta della guerra, si crogiola nel militarismo e nella malvagità del suo signore.

Il nano è una creatura deforme nel corpo e nella mente. Egli non ha una morale, non conosce l’amore né la pietà; idolatra il solo potere e non ha aspirazione più grande di quella di uccidere un uomo.

Il nano è l’immagine della deformità del subconscio, quella mostruosa voce che dentro ciascuno dice le cose più depravate, pensa gli orrori più grandi e però fugge in modo infantile di fronte a ciò che lo ripugna.

Egli è, in effetti, un doppio grottesco del principe: si aggira nel palazzo vestito con le stesse stoffe, va in battaglia con una copia della sua corazza, è forte nella sua ombra.

Ogni uomo cela un doppio deforme e trema di terrore al suo affiorare: «Ma è di se stessi che gli uomini hanno paura. Credono che sia io a spaventarli, e invece è il nano nascosto dentro di loro, quell’essere simile all’uomo, dal volto di scimmia, che leva la testa dal profondo della loro anima».