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Juan Rodolfo Wilcock, “Il libro dei mostri”

La mostruosità di cui parla, l’uscita dalla regola, ha il vantaggio di una manifestazione per così dire macroscopica, ma spesso, nella caoticità di membra irriconoscibili, di ammassi di carne o di piume o di vermi, si cela un’esperienza, un’attitudine, una tendenza che noi lettori “normali” non diremmo più mostruosa, ma che nondimeno terremmo nascosta come fosse un mostro.

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Lars Gustafsson, “Il pomeriggio di un piastrellista”

La vita è quel processo entropico che porta inesorabilmente dall’ordine al caos e Torsten non ama il disordine. Egli è orgoglioso dell’affidabilità della propria memoria e della diligenza con cui segna i conti, fa il piastrellista con talento e lo osserviamo smantellare l’incoerenza della casa e ricomporla in file di piastrelle ordinate.

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Dolores Prato: “Scottature”

“Scottature” è la narrazione autobiografica dell’educazione in convento e dell’irresistibile, costante richiamo del mondo esterno, nel quale Prato penetra come l’estroflessione sensoriale di un mollusco, un organismo dalle carni sensibilissime, nato con la necessità di avere il corpo racchiuso da un guscio duro che lo protegga dal male esterno e dal mare.

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Hanya Yanagihara: “Una vita come tante”

Per quanto segnati dalle esperienze pregresse, da una certa età in poi dovrebbe subentrare in ciascuno anche il senso di responsabilità per quel che si è diventati. Ne sono profondamente convinto: diventiamo responsabili di quel che siamo. Ecco che qui si perdono i personaggi di Yanagihara, incapaci di elaborare i traumi, lasciando la propria intelligenza emotiva ad uno stadio larvale

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