Le creative attese di Saleh Kazemi
Crack!, festival internazionale del fumetto. 2015. Anche in una galleria sotterranea si possono trovare lavori pregiati. È in quella del Forte Prenestino che vedo per la prima volta i disegni di Saleh Kazemi. E da quel momento, non li ho più dimenticati.
Anni dopo, quando entro nel forno Giselda a viale Trastevere, non mi sembra vero di averne davanti un’intera parete. E non è l’unica. Le sue opere sono in giro per i locali di Roma, con il loro sapore d’oriente.
Quando hai deciso di trasferirti in Italia?
Subito dopo il liceo. Ho seguito in Iran un corso di italiano per sei mesi, necessario per chiedere il visto di studio, e poi sono venuto a Roma. Volevo studiare all’Accademia di Belle Arti.
Quando hai iniziato a disegnare?
Fin da piccolo, ma non l’ho mai studiato seriamente. Solo dal 2014 ho deciso di farlo diventare la mia professione principale.
Hai studiato matematica. Influisce sulle tutte opere?
All’inizio mi ha influenzato per quanto riguarda l’uso della prospettiva. Ma col tempo ho cercato di allontanarmi dalle regole classiche del disegno tecnico o architettonico.
Saleh in arabo significa pace. Pensi che i tuoi disegni trasmettano questo messaggio?
Non ci avevo mai pensato. Mi piacerebbe!
I tuoi vengono definiti “disegni documentari”. Sono storie vere e proprie.
Sì, cerco di raccontare la realtà dal mio punto di vista.
Disegni sul posto?
Il 95% delle volte. Tranne per i disegni di grande formato su tela o quelli che non si possono realizzare sul posto.
Quanto impieghi?
Dipende da tanti fattori. Nel disegnare nel posto sono abbastanza veloce, da mezz’ora ad un paio d’ore. Mentre per le tele, o i disegni che vengono fatti dalle foto o sono pieni di simboli ed elementi studiati, impiego anche mesi.
Da dove inizi i tuoi disegni?
In quelli in cui ci sono delle persone inizio sempre dalle sopracciglia. Ma non c’è un motivo particolare.
Linee nere, contorte e in risalto. Quali artisti ti ispirano?
Egon Schiele, Edward Hopper, Francis Bacon.
In alcuni tuoi lavori sembrano essere presenti altri artisti. È possibile?
Solo in Giselda Forno, che stato un lavoro su commissione (400 x 250 cm). Rappresenta il locale con una serie di personaggi che mi hanno chiesto di mettere. E tra questi ci sono alcuni artisti. Li riconoscete?
Una persona che è seduta al Forno Giselda a Trastevere viene anche per vedere la tua arte?
Tanti, dopo aver visto la foto di quel disegno/murales, mi hanno chiesto indirizzo per andare a vederlo dal vivo in scala reale.
Alcuni dei tuoi tratti somigliano a delle cicatrici: lunghe linee tagliate da altre più piccole. È un effetto voluto?
Sì. Dato che non uso il chiaro scuro o il colore, i trattini e puntini servono per dare la profondità.
Quale preferisci tra le tue opere?
Le attese. È la prima serie a cui ho lavorato. Sono disegni iniziati grazie ai tanti viaggi che facevo. I tempi liberi tra il punto di partenza e destinazione e le attese obbligatorie mi hanno ispirato. Quei disegni sono stati fatti tutti sul posto e non ho impiegato più di 2-3 ore. Che poi è la durata di un volo o di un viaggio in treno...
La casa della zia è molto intimo. Ti esprimi meglio in queste situazioni?
Quel disegno l’ho concepito in un’atmosfera piena di emozioni e sensazioni, per questo trasmette un senso di intimità. I disegni di questo tipo sono tra i miei preferiti.
In quale Feltrinelli eri in questo disegno?
Largo Argentina. aspettavo che quel signore seduto sulla poltrona se ne andasse via per mettermi a disegnare. Ma, visto che voleva finire il libro, prima di andare via ho deciso di disegnare lui!
Usi fotografie per realizzare i tuoi lavori?
A volte. Se non posso disegnare dal vivo, sul posto, allora scatto tantissime foto (centinaia) da tutti gli angoli possibili. E poi disegno da quelle.
Che carta usi?
Varie. Carta fatta a mano, cartoncino di cotone, carte riciclate, basta che il colore della carta non sia un bianco freddo.
In soli due, Mercato India e Nudo, hai usato una superficie nera. Perché così pochi?
Quelle sono le uniche due incisioni in negativo sul linoleum che ho fatto. In generale, non ho tanta pazienza per fare incisione, come non mi va di fare il bozzetto e sempre parto con inchiostro definitivo ed incancellabile.
Nel time lapse al locale Cafe Etablì mostri come lavori. Parti con un’idea chiara in mente?
Sì, normalmente parto con un idea. Però, siccome non faccio mai i bozzetti, non è detto che finirò con la stessa.
Che messaggio vuoi trasmettere alle persone?
Non cerco di trasmettere messaggi. Cerco di raccontare momenti: ognuno può interpretarli a modo suo.
Che sensazioni prova chi guarda i tuoi lavori?
Spero che non si senta male. Non so!
E quali i commenti?
Di solito i complimenti, a volte anche qualcuno critico (che apprezzo davvero).
Ad esempio?
Un amico, durante gli anni dell’accademia a Roma, guardando i disegni che facevo nella scuola libera del nudo mi ha detto: “Sembrano una riproduzione delle forme come tantissimi altri disegnatori. Non c’è niente di te, Saleh”. Tutto questo mi ha fatto riflettere e ho cercato di vedere le cose da un altro punto di vista.