Un pino

Esecutivo e senza fantasia ma solido e alto. Mi disse che i pini gli piacevano, in particolare quelli romani (fatto strano perchè tendenzialmente la capitale e tutte le cose caotiche e imprecise che la riguardavano non lo convincevano mai un granchè) mentre quelli che aveva visto nel suo periodo in Emilia ad esempio non gli garbavano più di tanto: varietà storte e sgangherate, diceva. Mi riportó che quando era piccolo amava raccogliere i pinoli e ne mangiava in quantità industriali (ecco forse spiegati i suoi due metri e quindici di altezza, nelle scorpacciate infantili di pinoli) anche se in effetti non disse propriamente che amava raccogliere i pinoli, ma solo che lo faceva spesso. I suoi racconti erano sempre lucidamente razionali e tendevano quasi più a computi scientifici: l'amore è una connotazione sentimentale e romanzesca che ho di sicuro aggiunto io nel riepilogare la faccenda. Detto questo, era chiaro che ci fosse una connessione tra i due elementi -il pino e l'uomo che un tempo aveva scorpacciato pinoli- quantomeno per l'evidente somiglianza che manifestavano: entrambi ruvidi, senza fronzoli e ramoscelli accessori, ma solidi e protesi verso l'alto.

Nella vita vendeva immobili, proprietà, anche se aveva le spalle da lottatore romano e l'altezza di un giocatore di pallacanestro: si trattava invece di un imprenditore. Si alzava presto la mattina e riceveva lunghe ed importanti telefonate d'affari da una segretaria energica e da un vecchiarello torvo che gestiva il suo considerevole patrimonio.

Una volta compró una nuda proprietà  parmense, un piccolo forno di fronte ad una scuola elementare, che peró avrebbe riscosso solo dopo la dipartita della vecchia proprietaria. L'affare sembrava comunque sicuro, la nonnetta aveva ottantatre anni e diversi acciacchi agli arti, i nipoti erano fiduciosi in una risoluzione piuttosto rapida della faccenda. I mesi passavano peró senza che la vecchia si decidesse a schiodare, anzi dai pochi incontri che avevano fatto, era riuscita a turbare tutti con i suoi nervi saldi, con la sua spessa tenacia. Sembrava quasi rinvigorire. 

Una sera dopo una di queste frustranti trattative l'imprenditore fece un sogno strano che volle raccontarmi. Si trovava a Parma nel forno della vecchia e questa era seduta sul bancone, diceva irremovibile che non avrebbe  mai mai mai e poi mai abbandonato la sua proprietà. Neanche l'osservazione che la proprietà di fatto era già stata venduta, e che quindi legalmente non le apparteneva più, servì a smuovere qualcosa: la vecchia rimaneva ferrea seduta sul bancone. A quel punto lui aveva deciso di uscire fuori e d'improvviso era nel giardino della sua casa d'infanzia: si era seduto sui gradini di pietra all'ingresso, al cospetto di un bel pino del tipo romano. Era rimasto fermo a contemplarlo finchè la vecchia, misteriosamente ricomparsa, gli  aveva detto con un ghigno che gli avrebbe rivelato cosa c'era in cima ai rami più alti. All'imprenditore peró non interessava particolarmente cosa ci fosse  sopra l'albero e aveva declinato brusco l'offerta: aveva alzato lo sguardo e la vecchia pendeva da un ramo molto alto gridando" ti vedo, ti vedo!“. Il sogno si era concluso così. Mi disse che era strano e che di solito non sognava mai nulla, gli risposi che tutti sogniamo, tuttalpiù non ce ne ricordiamo al risveglio, lui aveva alzato le spalle e la faccenda era stata prontamente scrollata via. Qualche giorno dopo la vecchia era morta nella notte per un attacco di cuore, con tutta probabilità causato dagli avidi nipoti, come annotò la segretaria; la notizia arrivó in mattinata verso le nove e mezza, ci fu poi una lunga serie di chiamate, il vecchio amministratore, i nipoti (che chiamarono in turni distinti, ciascuno a rappresentare il proprio  interesse), di nuovo la segretaria che notificava fatture, firme e controfirme, poi il telefono cessó di squillare ed arrivó una mail che attestava l'accordo tra gli eredi e l'imprenditore. Verso le nove e mezza il forno parmense era ufficialmente passato di proprietà. 

La sera di quella morte molto proficua, l'imprenditore ed io ci congedammo stanchi e senza grandi cerimonie. Una nota definitiva nei nostri gesti mi disse che non lo avrei più rivisto ma nelle superfici ruvide, nel legno scuro, nei rami troppo alti di un imponente pino romano.

Martina VenturaComment