Un pranzo a Pompei
Il solito fracasso dell’ora di punta odora dei liquami che colano tra le scanalature ai bordi delle strade. Bisogna attraccare su quei blocchi rialzati in pietra levigata e attraversare con decisione ed equilibrio per non infradiciare la toga nella melma sottostante.
Giù al porto solo brutte notizie, al mercato si farà fatica: imprevisti lungo le rotte mercantili hanno fatto impennare i costi delle spezie provenienti dalle province d’Oriente. Bisogna che il tono incalzante e ruffiano dei mercanti superi i mugugni dei clienti, sembra di stare in un’uccelliera.
Lungo la strada il discreto cicaleccio dei plebei al passaggio di quel patrizio tornato da Roma. All’angolo tra il vicolo dei Balconi e la via della Casa delle Nozze d’Argento, i gladiatori fanno ritorno dall’allenamento mattutino. Affamati, si accalcano all’entrata della loro locanda, il quartier generale del gruppo.
Battute salaci sul culo della matrona, proprio lei, povera donna. Affaticata dai figli viziati, annoiata dal marito assente. Risollevarle il morale è cosa da gladiatori, confida il veterano. Il vino scorre a fiumi, i vigneti che circondano il Vesuvio sono rinomati. La grande montagna deve avere qualcosa di speciale, è sempre così fertile.
Ricopre di primizie le ceste dei contadini, i banconi dei mercanti, le tavole da pranzo. Di fronte alla Locanda dei Gladiatori, il Termopolio ha già aperto i battenti. Il grande portone di legno accoglie tutti quegli altri che per sopravvivere non sono costretti a usare le spade nell’arena, magari contro un orso bello grosso.
Le bollenti giare in muratura, incassate nel bancone, si svuotano rapidamente. Oggi zuppa di carne e pesce. In alternativa, lumache di prima scelta. Il vino è corretto con le fave, ecco perché quel sapore. Si fa la fila, si prende da mangiare e si consuma alla svelta, tra una commissione e l’altra.
Però che leccornie, viene voglia di un secondo giro solo a guardare la muratura del bancone, dipinta in giallo paglierino che fa da sfondo ad alcune oche a testa in giù, pronte per essere cucinate, belle grasse.
A fianco, un gallo bello tronfio, con quei colori sgargianti. Saporito pure lui. Poi il ritratto di un cane nero che abbaia trattenuto dal guinzaglio. Sembra aggressivo. Il solito “Ecce Canem” che si trova da queste parti.
In effetti un cane c’è, ma è un batuffolo che sonnecchia dietro il bancone – se non sta attento finisce nella zuppa pure lui. Poi, lo sfondo blu che incornicia una splendida nereide a cavallo di un ippocampo.
Il locandiere richiama il suo garzone, tutto sporco di sugo: “Ma è la maniera di servire questa?”. Il titolare è un tipo abbastanza rude, in effetti non lo amano proprio tutti, anzi, qualcuno non troppo convinto della qualità del servizio gli ha lasciato un bel ricordino sul muro del bancone, proprio sopra la testa del cane: “Cacatore invertito” gli ha scritto. Magari ha avuto da ridire sull’accostamento tra lumache e oche nella zuppa, c’è chi lo capirebbe.