Gli androidi di Marco Pirri combattono i pregiudizi sulla letteratura sci-fi

Androidi e No COPERTINA.jpg

Torniamo a occuparci di letteratura sci-fi e, questa volta, ne parliamo con Marco Pirri, scrittore che al genere fantascientifico ha dedicato il suo lavoro dal titolo Androidi e no. Il libro è composto da tre racconti: Samsara, Teoria degli oggetti fluttuanti e L’interpretazione di Copenhagen, tutti narrano realtà altre e il lettore potrà viaggiare attraverso questi “strani nuovi mondi” pervaso dalla sensazione che, tuttavia, non siano poi così distanti.


Come di consueto, per prima cosa ti chiederei di presentarti ai nostri lettori parlando un po’ del tuo background

Allora, sono nato al crepuscolo degli anni 80, incanalando tutto il movimento cyberpunk, il cinema di fantascienza e i videogames di quel periodo! Più seriamente, sono laureato in Filologia Moderna a La Sapienza di Roma (con una tesi sulla fantascienza italiana contemporanea), insegno materie umanistiche nelle scuole e, prima della pandemia, tenevo anche corsi di scrittura creativa. Da che ricordi ho sempre avuto la passione della scrittura e per la lettura. Ho sempre tenuto diari in cui sentivo per lo più l’esigenza di scrivere storie fantastiche, o comunque inventate, con poca attinenza con quello che mi succedeva nella realtà. La passione per la fantascienza, quindi, è venuta da sé, molto presto, nei primi anni delle scuole medie, quando ci facevano leggere Calvino (che tuttora adoro e reputo seminale proprio per il suo approccio particolare al fantastico) e ho cominciato a sentire il bisogno di un altro tipo di storie, più “estreme”, fuori dal nostro mondo. La verità è che devo tutto ai miei genitori, forti lettori anche loro, e che fin da subito mi hanno indirizzato verso quello che mi piaceva. Il mio primo libro del genere è stato Io, Robot di Isaac Asimov e me l’avevano regalato loro (non sapendo, forse, a cosa avrebbe portato!). Nel mentre, era già nato l’amore per quel tipo di cinema: Star Wars su tutti, Alien, Terminator, i vecchi classici, 2001: Odissea nello Spazio e soprattutto Blade Runner che, immagino, sia il film la cui storia (insieme al libro di Dick da cui è tratto) mi ha spinto più di tutto a scrivere di robot, androidi o comunque della figura dell’uomo nel futuro prossimo (o lontanissimo).

 

 Passerei ora ai racconti, personalmente ho trovato Samsara molto bello, vorresti parlare dell'ispirazione che c'è dietro?

Ti ringrazio per i complimenti! Samsara è l’ultimo racconto che ho scritto, viene fuori dalla riflessione sul presente, un presente particolare, quello che stiamo vivendo e che ha portato a chiedermi che strascichi potrà lasciare la pandemia, il lockdown e tutto ciò che ha caratterizzato il 2020. Nel racconto, per questioni di brevità, si fa giusto qualche cenno a catastrofi o a non specificate pandemie ma è il primo risultato, dal mio punto di vista, proprio di tutto ciò: volente o nolente questo periodo ci è già entrato dentro e, credo, caratterizzerà certe nostre scelte future, come umanità tutta. In base a questo, per quanto riguarda il racconto, ho pensato che in un prossimo futuro gli uomini si aggrapperanno a qualche nuova religione o, nello specifico, ad una vecchia “rimaneggiata”, il samsara appunto. Sono appassionato di storia e leggendo il testo di Fritjof Capra, Il tao della fisica, sono rimasto colpito dall’idea buddista di vita e morte visti come un circolo vizioso e imprescindibile, dove ogni azione genera un’altra azione, una domanda ne crea un’altra e così via. Nel mio racconto, seppur in maniera molto semplificata, parlando di un futuro in cui l’umanità si è rifugiata in nuove interpretazioni di religioni, volevo rendere questo senso di ripetizione, spero di esserci riuscito!

Fra i tuoi racconti ne hai uno che ti sta più a cuore?

Il racconto che mi sta più a cuore dell’antologia è l’ultimo, L’interpretazione di Copenaghen. Non vorrei svelare la trama ma ho cercato di portare allo stremo le mie due tecniche narrative preferite: il ribaltamento della visuale e il colpo di scena finale, il tutto per fare in modo che il lettore si facesse un’idea sua della storia per poi cercare di svincolarla e portarla verso qualcosa di, spero, completamente inaspettato.

 

I racconti sono molto curati sotto ogni aspetto, puoi raccontarmi qualcosa del processo creativo e delle fonti presso cui ti documenti?

Ti ringrazio! Da quando ho deciso di dedicarmi più seriamente alla scrittura, il processo creativo è passato dall’essere qualcosa di casuale ad altro: dedico alla scrittura un determinato quantitativo di tempo ogni giorno, qualsiasi cosa succeda, anche se non ho voglia o non ho l’ispirazione. Qualcosa di buono esce sempre. Nel 2014 ho cominciato a scrivere una serie di romanzi di fantascienza, un cosiddetto ciclo narrativo (il primo volume spero di pubblicarlo nel 2021), e mi sono reso conto che disciplina e costanza sono gli unici mezzi per arrivare a creare qualcosa di completo e coerente.

Divoro una quantità immensa di libri e oltre alla storia mi interesso concretamente di scienze, in particolare di astrofisica, dove prendo gran parte degli spunti e delle idee per le cose che scrivo. Per esempio, il secondo racconto della raccolta, Teoria degli oggetti fluttuanti, è basato sull’interpretazione dei molti mondi di Hugh Everett mentre l’interpretazione di Copenaghen è un famoso principio sulle funzioni d’onda nella meccanica quantistica. Per ogni racconto cerco di dare un fondamento di realtà, nei miei limiti di appassionato, per poi reinterpretarlo con la chiave più libera della narrazione. È un processo molto eccitante, un privilegio in un certo senso, il poter dare il proprio punto di vista su di una cosa e crearci intorno una storia!

Aggiungo che sono un grande estimatore e collezionista dell’oggetto libro in sé, e sono piuttosto maniacale nei dettagli. Quindi ho cercato di dare una certa rilevanza e precisione anche all’aspetto editoriale, nella speranza che, nonostante la raccolta sia un’autopubblicazione su Amazon Publishing, possa palesarsi la cura che ho messo nel “confezionare” il libro.

 

Fai parte di quella tipologia di scrittore che semina easter egg nei propri lavori? Perché a partire dal titolo, che richiama "Uomini e no" di Elio Vittorini, sono poi stata molto colpita dalla frase "dove nemmeno le stelle avevano più dominio" che mi ha subito fatto pensare a Dylan Thomas e la sua "and Death shall have no dominion"...ma forse sono io che, da lettrice onnivora, ho una fervida immaginazione...

Assolutamente sì! Come giustamente hai notato Androidi e No è un omaggio al libro di Vittorini che adoro alla follia, sia come romanzo che come stile di scrittura. Come ti dicevo prima, prendo spunto da qualsiasi cosa mi circondi, anche una frase o una parola possono diventare lo scheletro di una narrazione e cerco di omaggiare tutto quello che leggo, guardo e così via. Anche Dylan Thomas era voluto e mi fa molto piacere tu l’abbia colto! Inconsciamente credo di citare ed omaggiare situazioni o luoghi che ho amato nei romanzi, così come solitamente nelle descrizioni mi rifaccio ai film e alle serie che amo come Star Trek, X-Files o Twin Peaks ma i nomi dei personaggi sono sempre e volutamente presi o da scrittori o da fisici famosi!

 

Quali sono i tuoi autori di riferimento e quale libro reputi imprescindibile?

Come moltissimi appassionati del genere ho cominciato con i libri di Isaac Asimov e, tuttora, lo reputo il punto fermo dal quale iniziare. Mentre altre opere di autori della golden age americana sono invecchiate piuttosto male, credo che libri come Io, Robot, il Ciclo della Fondazione e quello dell’Impero siano ancora straordinari! Stesso discorso vale per Arthur Clarke, l’autore di 2001: Odissea nello Spazio, lo scrittore che ho letto di più in assoluto e da cui, probabilmente, ho preso di più sia come tematiche che come approccio al genere. Se dovessi citare un libro che ha certamente forgiato il mio immaginario fantascientifico e che consiglierei a tutti, anche ai neofiti, è il suo Le guide del tramonto!

Come autori ancora, oltre a Philip K. Dick e Robert Heinlein che chiudono idealmente la rosa dei classici immancabili, direi che contemporanei come Bruce Sterling, China Mieville, Peter Hamilton, Ian Mcdonald, Robert C. Wilson, Alastair Reynolds, il nostro Valerio Evangelisti e il mio preferito in assoluto, Greg Egan, siano il meglio del meglio. Forse una sequela un po’ statica di autori ma ci sarebbe talmente tanta roba da consigliare che mi limito a fare questi nomi!

Questo per quanto riguarda la narrativa di genere, poi ci sarebbe quella “normale” ma veramente mi dilungherei troppo, mi limito a citare di nuovo Calvino, poi Bufalino, Tondelli, Moravia tra gli italiani e tutta la letteratura anglo-americana con cui, per vari motivi, mi trovo molto più a mio agio.

 

In ultimo: c'è una domanda che non ti fanno mai, ma per la quale avresti già una risposta bella pronta?

Domanda non-domanda impegnativa! C’è molto pregiudizio, anche in ambito accademico, verso chi scrive o si appassiona a tutto ciò che non è letteratura “colta”. Per tanto tempo ho avuto una sorta di complesso di inferiorità solo perché ho sempre scritto di astronavi e robot nonostante i miei studi umanistici e mi chiedono sempre: perché ne scrivi? La domanda che non si fa mai è: perché c’è questo pregiudizio? La letteratura di intrattenimento, che sia fantascienza, fantasy o thriller, è sicuramente quella più diffusa. Magari sarà meno impegnativa (dipende poi) ma certamente è una grossa fetta dell’editoria contemporanea. Quindi che male c’è a voler raccontare storie prendendo spunto da altre realtà? Dubito si supererà mai questo grande scoglio di “generi” ma spero, nel mio minuscolo piccolo, di smuovere un granello alla volta e fare in modo che il pregiudizio venga se non superato, almeno aggirato.