A cavallo della tigre di Luigi Comencini (1961, 110’)
L’ingenuo Giacinto, finito in prigione per una truffa, viene coinvolto, suo malgrado, in un’evasione con tre loschi figuri, ma ben presto si rende conto che è più conveniente per tutti se ritorna in cella. «Condotto senza alcuna debolezza di ritmo, A cavallo della tigre alterna in maniera brillante le gags più divertenti con una serie di notazioni socio-economiche che costituisce il nerbo del film: in Comencini, il dramma non è mai lontano. Il ritorno di Manfredi nella sua famiglia, il piatto di spaghetti rovesciato per terra, l’amante installato a casa della sposa […], i bambini divenuti estranei, costituisce un pezzo d’antologia. D’altra parte […], Comencini si rivela uno straordinario direttore di attori: oltre a Nino Manfredi – che raggiunge in questo ruolo uno dei primi traguardi della sua carriera -, il film armonizza gli stili molto diversi di Mario Adorf, Raymond Bussières e anche di un Gian Maria Volontè colto all’inizio della sua carriera» (Gili). «Come attore il film mi diede molte soddisfazioni; fu una faticaccia. Quando vidi che il pubblico non lo accoglieva bene, ci rimasi male. Ma non dipendeva da Comencini, dipendeva dalle manchevolezze di un soggetto disarticolato, che era forse in anticipo sui tempi: almeno secondo me. Il film era stato prodotto da una cooperativa costituita da Age, Scarpelli, Comencini e Monicelli: l’insuccesso commerciale del film la mise in crisi» (Manfredi).