Antica Stamperia Trevi, sarti del biglietto da visita

Basta toccare il biglietto da visita dall’Antica Stamperia Trevi per capire che di quelli venduti qui, in via dell’Umiltà 84, non se ne trovano altrove. Il simbolo in rilievo, le lettere incise, la carta pregiata. “Dal 1780 stampiamo per gli uomini che hanno fatto la storia”, c’è scritto sopra. E di storie, il titolare Sergio Franci, ne ha molte da raccontare: di quando ha rifiutato un biglietto da visita a un presidente del Consiglio, dell’errore che commettono molti personaggi noti nel depennare i titoli professionali e di un aneddoto dietro la costruzione della fontana di Trevi.

Sergio Franci, titolare dell’Antica Stamperia Trevi

Sergio Franci, titolare dell’Antica Stamperia Trevi

Sig. Sergio Franci, come nasce questa stamperia?

Questa stamperia è un caso storico, è la più antica in Europa dopo quella della Regina d’Inghilterra, che è del 1640. Nasce nove anni prima della Rivoluzione francese ed è nello stesso luogo dal 1780. È un caso eccezionale che si trova nello stesso luogo e svolge la stessa attività da un periodo così lungo. Ha stampato per re, regine, capi di Stato e, ancora oggi, stampa per la Presidenza della Repubblica e istituzioni di vario tipo, come il presidente del Consiglio. Ci occupiamo di quella tradizione storico-culturale degli oggetti realizzati a mano che rappresenta un’immagine unica dell’Italia.

Vendete solo qui o anche all’estero?

Ci sono persone che ci contattano anche dall’estero: dagli Stati Uniti, Canada, Giappone e anche dal Sudafrica.

Lavorate anche online?

Siamo una realtà talmente piccola e su misura che è difficile compararci al resto del mercato. Usiamo tecniche e tradizioni antiche, come l'incisione a mano, il rilievo e lo sbalzo.

Le mostro una cosa. Dal suo portafoglio estrae un biglietto da visita.

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Un oggetto che parla di noi quando non ci siamo è il biglietto da visita. Nasce nel Settecento perché serviva per far visita. E dà un’immagine di noi affidabile o meno a seconda di ciò che viene mostrato. È rappresentativo della persona, tant’è che in Giappone viene dato con due mani, in segno di rispetto. Il valore del biglietto da visita viene da una grande tradizione culturale che appartiene alla nostra Storia, a quell’identità italiana che si conserva all’interno delle botteghe storiche che tanto hanno significato nella storia di questo Paese, per poi forgiare quella identità italiana che ci viene invidiata in tutto il mondo. Ed è a queste botteghe che dobbiamo dare un senso, un significato storico, una radice culturale a cui noi apparteniamo. La bottega non è di chi ce l’ha, la bottega è un valore culturale.

È l’identità di una popolazione.

Sì, è dove si conserva la tradizione storico-culturale. Il biglietto da visita è un’identità che pochi hanno ancora come presenza.

Oggi non basta il sito-web?

Sono cose diverse: il biglietto da visita è un modo di comunicare in una dimensione fisica, tangibile e diretta. Oltre ai semplici dati di contatto, trasmette la personalità del suo proprietario e contribuisce a creare un’impressione della persona facilmente distinguibile, lasciando una memoria tattile oltre che visiva.

Il biglietto è quindi molto di più. Non può essere trattato come un foglio con delle informazioni scritte sopra e basta. Se accadesse questo, basterebbe prendere un pezzo di carta.

Lo disegnate voi?

Sì, lei ci fornisce i dati e noi creiamo il biglietto su misura, in base alle qualità o professionalità della persona.

Siete dei sarti del biglietto da visita.

In un certo senso sì. Ma l’importanza del biglietto è che parla quando noi non ci siamo.

Simbolo del biglietto da visita della regina, con la corona

Simbolo del biglietto da visita della regina, con la corona

Quali informazioni bisogna inserire?

Dipende se è un biglietto da visita è personale o di lavoro.

Mi dà un suo biglietto personale e uno dell’Antica Stamperia Trevi.

Guardi. Il primo è un biglietto che si utilizza per le relazioni personali. E va quindi indicato solo il nome e cognome mentre ogni elemento in più si scrive a penna, come gesto di riguardo. Il secondo è un biglietto professionale, dove oltre il nome si devono inserire i titoli professionali e accademici. E su questi molti fanno un errore banale.

Di che tipo?

Mi capita di dover spiegare, anche a persone importanti, che i titoli non vanno cancellati a penna. Perché cancellandoli li evidenzio. Per certi aspetti, è anche arrogante. È come dire: “Io lo sono, ma per te no”. Non bisogna mai farlo. L’unica ammissione che si può fare nella cancellazione è il cognome, perché è come dire “diamoci del tu”.

Macchina da stampa Heidelberg

Macchina da stampa Heidelberg

Vi ho portato dei documenti un po’ particolari, che sono un pezzo della nostra storia. 

Apre una valigetta e ci mostra dei lavori. 

Questa è una testimonianza certa della storicità della stamperia. È una fattura del 1870, emessa dall’antica stamperia all’epoca Pallotta. 

Questi documenti li avete trovati qui dentro?

Sì. Quando si fanno dei lavori, si mettono da parte dei campioni nel caso debbano essere ripetuti. Fanno parte del nostro archivio storico. 

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Estrae dalla valigetta un piccolo cartoncino.

Questa invece è l’effige di Garibaldi dell’unione garibaldina, realizzata nella prima Repubblica romana (1849), quella di Mazzini.

Come avviene il procedimento per creare una figura del genere?

Prima si fa il disegno, poi viene riportato su blocchetti di metallo che vengono incisi al bulino. Arte che nasconde insidie, perché basta che ti sfugge lo strumento e rischi di buttare un lavoro di venti e più giorni.

Prende un biglietto con un simbolo che brilla.

Questo è dimostrazione di una bravura straordinaria, perché segue la forma dell’oggetto dando una realtà tridimensionale. Immaginate sempre che va inciso al rovescio.

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Continua a pescare stampati storici dalla sua valigetta.

Il documento che ho in mano adesso è particolarmente interessante, perché è il menù della Santa Sede di una colazione non come le altre, ma quella del 17 marzo del 1929. 

Periodo in cui furono siglati i Patti Lateranensi.

Esatto. E inizia a leggere. Brodo ristretto in tazza, scodelline con uova e tartufi, filetti di sogliola e risotto, faraona arrosto, insalata mista, asparagi con salsa olandese, gelato alla nocciola, formaggini, frutta e pasticceria. Ti fa un po’ rivivere l’epoca.

Poi passiamo a epoche più recenti.

Questo è il biglietto da visita che ci fu richiesto dai collaboratori di un presidente del Consiglio.

Ci mostra un biglietto anonimo e senza troppi ricami.

Io gli dissi: “Mi spiace, ma non lo posso fare”. Loro chiesero: “E perché?”. Io risposi: “Per due motivi: primo perché conosco la persona e non credo meriti questo tipo di biglietto, inoltre non è una presentazione degna del nostro presidente, che dovrebbe avere lo stemma in oro”. Poi mi hanno richiamato e detto: “lei ha carta bianca”. 

Ci mostra il biglietto che ha realizzato lui per il presidente.

È un cartoncino di pregio con l’emblema della Repubblica in oro a sbalzo e i caratteri fatti a mano, stampati a pressione, come si fa con il torchio.

L’uso dell’oro non può essere considerato un’ostentazione?

L’oro non è rivolto alla persona, ma alla massima istituzione, la Repubblica. E il significato dell’oro, in termini di valore simbolico dimenticato, è l’incorruttibiltà, l’eternità nel tempo: è un simbolo di purezza assoluta. 

Anche nel vostro biglietto usate l’oro. Qual è il significato del simbolo?

È un’allegoria seicentesca. Se andate alla galleria Sordi, vi accorgerete che la parte interna delle finestre decorative in due ingressi è fatta con questa allegoria.

E le tre spade?

Le tre spade sono usate nello stemma araldico del rione Trevi a cui apparteniamo. La misericordia è un tipo di pugnale usato nel medioevo per dare il colpo finale ai feriti gravi rimasti sul campo di battaglia.

Biglietto da visita dell’Antica Stamperia Trevi

Biglietto da visita dell’Antica Stamperia Trevi

Dalla borsa tira fuori un altro documento.

Questo è un lavoro speciale. È lo stemma papale di Pio XII eseguito per la sua carta da lettere.

Stemma papale di Pio XII

Stemma papale di Pio XII

Come si realizzano tutti questi colori?

È una tecnica veramente difficile. Pensate che a ogni colore corrisponde un cliché, che viene inciso e impresso singolarmente: è un vero bassorilievo.

Cos’è un cliché?

Vi mostro. Apre uno dei numerosi cassetti.

Cliché dentro a un cassetto dell’Antica Stamperia Trevi

Cliché dentro a un cassetto dell’Antica Stamperia Trevi

Queste che vedete sono corone nobiliari d’epoca, questa è quella del Re d’Italia.

Di che materiale sono?

I cliché di oggi sono in acciaio, mentre questi venivano composti con delle leghe a piombo. 

Dove vengono messi?

Nel telaio, in cui si posizionano in base alla parte della carta che si vuole stampare.

Che carta usate?

Molti tipi soprattutto cartoncini e carta a cotone a fatta a mano.

Dove la prendete?

Da una cartiera che fa questa carta dal 1400. Ha fatto la carta per le partecipazioni di nozze di Napoleone. Adesso vi faccio vedere altri cliché, più interessanti.

Cliché del Seicento

Cliché del Seicento

Da una scatola ne prende due molto grandi. Uno è di un cardinale e l’altro di un principe. Sono oggetti del Seicento. Non sono più come quelli di adesso.

Perché sono più grandi?

Perché servivano a fare i bottoni per le livree.

Su questi piani ci sono molte spatole. A cosa vi servono?

Per impastare l’inchiostro e caricare la macchina. Sono indispensabili.

Piano di lavoro dentro la stamperia

Piano di lavoro dentro la stamperia

Questa stamperia ha lavorato per diversi Papi. E per questo?

No, non ci ha contattati.

Sapete chi gli fa i biglietti da visita?

Non penso glieli faccia nessuno. Ha uno stile molto sobrio.

Scrive su un suo bloc notes. Commenta Rafael Belicanta, il fotogiornalista con cui ci siamo recati alla Stamperia e che ha lavorato per la Santa Sede. 

Diciamo che giustamente preferisce concentrarsi su questioni di carattere spirituale.

Personalmente ritengo che quelle cose che sembrano apparenza sono in realtà sostanza perché credo che noi viviamo e rispettiamo i simboli che hanno più forza delle parole. 

Qui realizzate non solo biglietti da visita, ma anche di auguri.

Sì, anche se ultimamente si è perso il significato. E invece il biglietto d'auguri è un veicolo per confermare quei sentimenti, quella stima, quella considerazione che si ha nei confronti degli altri. Ha quindi un ruolo sociale. Se comunico gli auguri attraverso una semplice mail, o li mando in maniera dozzinale con messaggio serializzato, perdono completamente l’efficacia. Non c’è l’obbligo di fare gli auguri, non serve. Gli auguri sono un’occasione, l’opportunità di mandare un messaggio che ha un valore sociale: riconfermare il rapporto. Per questo serve attenzione.

Voi come li personalizzate?

Traduciamo lo stile personale del cliente in elementi visivi unici. Scegliamo carte, caratteri, colore e tecniche di stampe differenti per rafforzare il suo messaggio ed esprimere al meglio la sua personalità, in modo che possa essere ricordato. Poi, il tocco finale è scrivere una frase di proprio pugno. Il tempo è la risorsa più importante che abbiamo. Dedicarne un po’ per scrivere a mano una frase su un cartoncino creato appositamente, fa capire quanto realmente quella persona sia importante per noi. È il contrario dei messaggi copia incolla serializzati che si mandano con un click, che non hanno quindi alcun senso.

Biglietto di auguri della regina

Biglietto di auguri della regina

Un lavoro che richiede esperienza, conoscenze e tradizione. Come bottega storica vi sentite tutelati?

No, siamo abbandonati, come tutte le altre. Io ho il ruolo di vicepresidente dell’Associazione Botteghe Storiche di Roma. Ci siamo battuti molto in questi anni, ma manca una legge nazionale per le botteghe: è assurdo.

Quali le difficoltà?

Le botteghe storiche muoiono perché, trovandosi al centro della città, occupano un posto appetibile per tante attività e di conseguenza vengono aumentati gli affitti. E siccome si tratta di attività che non stanno sul mercato al pari di altre, non si possono confrontare con chi vende cineserie a 1 euro. Se si svolge un’attività creativa come quella che facciamo noi, tutto questo non può essere fatto con la competizione d’oggi.

Mi indica un negozio poco più avanti che vende souvenir.

Antica Stamperia Trevi vista da fuori

Antica Stamperia Trevi vista da fuori

Lo vede quel negozio?

Sì.

Lì c’era una signora che vendeva stampe antiche. Era lì dal 1800. Morta lei, l’attività non è più proseguita. Ci sarebbe dovuta essere un’attività storica. Lei la vede?

No.

E questo è accaduto sei mesi fa. E di fronte riesce a vedere? Là c’era un’incisore tra i più noti a Roma. Morto lui, tre settimane dopo era già stato affittato a quelli che ci sono ora (ndr, altro esercizio commerciale dove si vendono souvenir). Questo non permette neanche alle botteghe di avere una continuità. Come faccio a lasciare l'attività ai miei figli se so che è così poco tutelata?

C’è però chi è a favore del libero mercato.

È vero, ma sono quelli che cadono nell’equivoco di considerare le botteghe storiche come mere attività economiche, quando invece sono parte integrante dell’identità delle nostre città: tanto da essere riconosciute come patrimonio culturale intangibile dalle convenzioni UNESCO. La loro chiusura significa la distruzione di parte del nostro patrimonio storico e artistico, tutelato anche dall’art. 9 della nostra Costituzione.

Non c’è poi il rischio che le botteghe storiche "ingessino" la città?

Mi sembra che esista più il problema di omologazione verso il basso dell’offerta turistica. Se da una parte i comuni si sono sempre stracciati le vesti a parole a favore delle botteghe storiche, dall’altra hanno concesso con estrema solerzia le licenze alle nuove imprese a basso valore, che hanno preso il posto di attività storiche costrette alla chiusura spesso a causa di richieste d’affitto insostenibili da parte della proprietà. Una pratica a cui non sono estranei nemmeno organismi dello Stato. Questo non fa altro che aumentare ulteriormente gli affitti in una spirale al rialzo. Questa omologazione nell’offerta fatta di oggetti dozzinali, souvenir prodotti in Estremo Oriente e cibo a basso costo che ha ben poco a che vedere con la nostre tradizioni, ha anche delle ricadute sul potenziale turistico della città: perché la rende più anonima e omologata. Abbiamo perso parte di quel carattere identitario che rendeva le nostre città uniche e vive.

E comunque dobbiamo stabilire quali sono le attività che devono rimanere e quali no.

E i criteri?

Ne sono stati proposti tanti, l'importante è che rimanga la storicità del processo, l’autenticità e la qualità del prodotto. Anche dei giovani che pratichino un’arte antica dovrebbero poter essere in grado di aprire una bottega storica (se l’arte praticata ha un legame con la tradizione dei luoghi). Si tratta di preservare e tramandare alle future generazioni quel saper fare autentico, fatto di attenzione alla qualità e cura per il particolare. E in antitesi con l’artificialità, l’omologazione tipica del commercio massificato.

Di turisti, però, ne continuano ad arrivare.

Sì, ma che tipo di turisti? Oggi il centro storico di Roma sembra un Luna Park. Un tempo, la visita media era di tre-quattro giorni, oggi invece la gente arriva un giorno, massimo due, scatta qualche foto, fa l’itinerario prestabilito e scappa. Una certa parte del turismo più qualificato, e con maggiore capacità di spesa, sarebbe disposta a soggiorni più lunghi se solo gli venissero offerte esperienze autentiche e qualità; ma l’offerta attuale predominante è quella di un turismo a basso costo, mordi e fuggi, che soffoca la città. Noi dobbiamo ricordare che siamo il paese del bello e ben fatto: è questo su cui poggia il Made in Italy, tanto celebrato nel mondo. La protezione delle botteghe storiche potrebbe anche essere l’occasione per offrire a un turismo qualificato esperienze autentiche, che oggi non trova in una città soffocata da attività dozzinali.

Macchina da stampa dentro la tipografia

Macchina da stampa dentro la tipografia

In altri Paesi qual è la situazione?

In Francia è diverso. Se le è capitato di andare a Parigi, avrà visto il caffè Procope. Era una brasserie, una tavola calda. Be’, questa brasserie due anni fa aveva avuto un milione di visitatori.

Accidenti.

Sì, perché è una bottega storica e dentro trova la vasca di Marat. Un luogo che racconta e testimonia la storia della città. Se noi continuiamo a cancellare tutto, rischiamo di perdere la nostra storia, la nostra identità.

Già, un peccato.

Un tempo si veniva in centro non solo per passeggiare, ma anche per vedere i negozi. Se lei passa a via dei Coronari, è irriconoscibile rispetto a un tempo. Ci manca solo che la riempiano di supermercati. Ridurla così significa privarla del significato storico che ha sempre avuto nel mondo. Roma non è una città qualsiasi. Noi dovremmo sentirci coinvolti e orgogliosi di appartenere a un’italianità unica nel mondo. Dimentichiamo chi siamo e perdiamo la nostra identità.

Fontana di Trevi

Fontana di Trevi

Voglio raccontarle una storia. Se lei va a Fontana di Trevi, sulla destra vedrà un negozio a una sola serranda, che ora è una valigeria. C’è una storia dietro quell’attività. Un tempo era di un barbiere, che ogni mattina, dopo aver aperto, criticava l’architetto Nicola Salvi durante i lavori di costruzione. Lui era così arrabbiato che disse: “Va bene, tu non vedrai mai questa fontana!”. E gli ha costruito davanti una pigna enorme. Che non ha molto senso nel complesso architettonico, ma ha avuto l’effetto desiderato.

Vede, ogni angolo della nostra città è un racconto, un’emozione che merita più di una semplice visita fugace.

Contatti

Indirizzo: via dell'Umiltà 84a/85, Roma
Tel: 06/6794718
Sito web: www.anticastamperiatrevi.it