Manuele Fior, “Hypericon”
Manuele Fior è un illustratore di straordinario talento. Il mio primo incontro con lui è avvenuto attraverso le illustrazioni di “La vita davanti a sé” di Romain Gary, nell’edizione Neri Pozza del 2018 (un capolavoro straziante che, se non avete letto, vi consiglio proprio in questa versione).
Sono molto legato a quel titolo e alle illustrazioni che hanno accompagnato la mia lettura. Perciò, quando al salone del libro di Torino 2023 ho saputo che Manuele Fior avrebbe presentato questo suo nuovo titolo, “Hypericon”, non mi sono perso l’evento e mi sono persino messo in fila per avere una copia autografata.
L’eccelsa bravura di Fior, supportata da una certa dose di pazienza e buona disposizione nei confronti dei suoi fan, che talvolta hanno un modo quasi scortese di esprimere la propria ammirazione - caratteristica tanto perdonabile perché spesso instillata solo dalla timidezza -, in men che non si dica ha creato, sotto ai miei occhi affascinati, un’illustrazione con dedica che trovo bellissima e che mi rende molto, molto cara la mia copia del suo libro.
Non sono abituato a leggere fumetti o, come scopro che bisogna dire, graphic novels. Non è stata l’iniziazione alla mia carriera di lettore, né ho particolarmente amato il genere nei miei saltuari incontri successivi. Mi piacciono i “Peanuts” di Schulz, ma ecco, la mia conoscenza effettiva si ferma qui, poco oltre. Detesto i fumetti dei supereroi, non trovo particolarmente entusiasmanti i manga, non amo granché Topolino. Diamine, persino il mio recente incontro con “Corto Maltese” mi ha lasciato un po’ deluso! Indovino di non aver saputo cogliere la qualità che deve esserci. Questo per dire che forse non sono la persona più adatta a redigere questo breve e tutto sommato poco importante commento sul lavoro di Fior, ma non ne voglio dir male, anzi! Ne voglio dire quanto di meglio io possa! E quindi, perché no?
Perciò, tornando ad “Hypericon”, la trama affianca la vicenda della scoperta della tomba di Tutankhamon, nel 1922, con la vita di una giovane egittologa, Teresa, che partecipa all’allestimento di una mostra sul faraone nella Berlino degli anni ’90: due tracce di racconto, peraltro estremamente lineari, procedono quindi parallelamente, l’una accanto all’altra. La semplicità del tema è assolutamente funzionale all’attenta caratterizzazione dei pochi personaggi che popolano il racconto.
Appena aperto il volume si può constatare la qualità eccellente dei disegni di Fior. Sembra banale, ma non lo è, almeno, non per me.
Ogni singola tavola di Fior è un mondo che più si osserva e più dà piacere al suo osservatore/lettore. Mi piace l’idea di leggere le immagini di Fior, che d’altra parte sono anche dei capolavori di narrativa. La bellezza della stesura del colore riesce a far percepire atmosfere e luci davvero complesse - la luce tagliente dei fari di un autobus nella notte, l’umidità, la differenza che c’è fra l’atmosfera chiusa e raccolta di una camera dove ci si sente al sicuro, e quella densa e carica di tensione di una tomba rimasta intatta per millenni. Il minimo comun denominatore è il buon gusto di Fior. Per me niente è più importante del buon gusto per un artista, cioè della capacità di saper discernere il gradevole dallo sgradevole. Il buon gusto è difficile impararlo ed è molto più vicino ad una sensazione istintiva di quanto non lo sia ad una decisione attentamente calibrata. Il buon gusto di Flor lo porta, ad esempio, a non essere mai volgare, neanche quando racconta il sesso, pur in maniera estremamente esplicita!, e,fra le centinaia di variazioni che un volto metallico può avere - quello dei sarcofagi di Tutankhamon - il buon gusto di Fior lo porta a scegliere la migliore. Spero che non suoni come una sciocchezza, ma la pelle metallica di questi oggetti, riflettendo variamente la luce, non sempre è, mi si passi il termine, fotogenica: i lineamenti risultano più o meno aggraziati a seconda dell’inquadratura. Sono aggraziatissimi, invece, nei disegni di “Hypericon”.
Il buon gusto di Fior è, infine, dimostrato dall’atmosfera generale del libro. “Hypericon” offre al lettore una dolcissima atmosfera nostalgica, tutta rivolta al passato (sia il passato faraoinco, sia quello postbellico degli anni della scoperta della tomba, sia il passato recente di quella Berlino a ridosso della caduta del muro, città mitica per antonomasia, dove il futuro aveva il sapore di una possibilità entusiasmante).
Forse, proprio per enfatizzare quest’atmosfera, Fior ha creato molte tavole dove l’occhio indugia dilatando il tempo della lettura. Molti disegni enfatizzano il silenzio e l’attesa. L’inizio del racconto, per esempio, è fatto solamente da tavole che ritraggono il deserto, niente di più. Poche parole, tratte dai diari di Howard Carter, accompagnano queste immagini.
Diventa palese fin dal principio quanto bene Fior sappia gestire il tempo. Nei suoi disegni, infatti, non si percepisce mai quella sorta di crescente accelerazione che le sottili linee bianche di separazione fra le tavole talvolta imprimono. Non c’è mai vicinanza eccessiva fra un evento e l’altro, non c’è fretta fra una tavola e l’altra. La larghezza delle demarcazioni bianche non varia, ma Fior in qualche modo riesce a cambiare la quantità d’aria che queste cesure contengono, col risultato di dare al suo racconto un tempo adagio e impeccabile.
Il tempo si allunga in propaggini sempre più rarefatte, sempre più delicate, la separazione fra gli eventi non è mai netta e violenta, ma sempre dolce, come una coperta che resta avvolta a una gamba mentre ci si alza dal letto, ricordandoci, ancora per qualche istante, il piacevole calore a cui stiamo rinunciando.
Berlino è raccontata da una tavolozza tendente al grigio, con colori poco squillanti, pur presenti, eppure come se visti attraverso un omogeneo filtro calmante. In questo grigiore appaiono, come proiettate da una lanterna magica, le immagini che raccontano della scoperta della tomba di Tutankhamon, caratterizzate da colori più luminosi, più dorati. Il cielo di Howard Carter è di un azzurro intenso e il deserto riverbera colori caldi, dai toni aranciati. L’interno della tomba ha un’atmosfera ovattata come la Berlino di Teresa, con la differenza di essere vista non attraverso un uniforme grigiore, ma una uniforme luce dorata. Nella tomba di Tutankhamon si aggira il pulviscolo d’oro.
La tomba di Tutankhamon non racconta della morte, ma del piacere dell’immutabilità e della bellezza che vince il tempo. Non c’è modo migliore di illustrare la nostalgia raccontando di quella volta in cui il tempo non ha distrutto, non ha schiacciato, non ha causato il crollo né ha discolorato, ma, fallendo la sua usuale opera certosina, per una volta ha preservato, intatto, un eterno presente: così com’è, così è stato, incessantemente, per più di tremila anni - che per noi “brevi” esseri umani equivale più o meno a voler dire “per sempre” senza andarci troppo lontani.