Di Accattone ce n’è solo uno
Vita o morte? Appena varcato l’ingresso del Teatro Trastevere, il pubblico è invitato a scommettere sulla sorte di colui che all’anagrafe è registrato come Vittorio, ma tutti conoscono come Accattone. Riuscirà a sopravvivere fino alla fine dello spettacolo oppure perirà prima? Per lui mettere in gioco la sua esistenza è come puntare su qualsiasi altra cosa, d’altra parte la sua vita è così: ogni giorno è una scommessa.
E anche il regista Enrico Maria Carraro Moda, nonché interprete del protagonista, decide allora di osare. Il suo Accattone esce senza indumenti da un bidone pieno d’acqua posto al centro della platea. Quella pattumiera non rappresenta altro che il fiume Tevere, dove un tempo i ragazzi erano soliti fare il bagno. Da un elemento purificatorio come l’acqua esce quanto di più riprovevole ci possa essere per la società. Un uomo che maltratta verbalmente la sorella (Chiara Meschini) e che è pronto a vendere tutto pur di non lavorare, anche la sua nuova compagna (Simona Santamato).
A stimolarlo nelle sue nefandezze c’è un losco individuo, interpretato da un Lorenzo Girolamo sempre pronto a spalleggiare Moda, mentre a vessarlo c’è il compare del temuto Ciccio, un Federico Balzarini che attraverso pochi gesti riesce a trasmettere l’oscenità delle sue azioni. In questa suburra, Enrico Maria Carraro Moda e i suoi compagni di scena restituiscono appieno l’immagine di quella parte di società che non ha voglia di lavorare (“le bestie lavorano”) e che passa le giornate a gozzovigliare.
Trasporre un film ricco di luoghi sul palcoscenico di un teatro, non è sicuramente opera agevole. Utilizzare una scritta luminosa sullo sfondo che viene cambiata dagli attori attraverso un telecomando, rischia però di far perdere l’atmosfera. Quel pathos che invece corre lungo tutto il film di Pasolini. “Perché di Vittorio ce ne sono tanti, ma di Accattone ce n’è solo uno”.