I dipinti di Eldi Veizaj sugli specchi si animano e si cancellano: "È come il ciclo della nostra vita"

Sembra di assistere a uno spettacolo quando si guardano i video realizzati da Eldi Veizaj mentre dipinge. Gli occhi del soggetto raffigurato si aprono e si chiudono, poi della vernice gli cola sul volto e viene strappata. Tra i personaggi ritratti scelti dall’artista ci sono Carmelo Bene, Antonio Ligabue e Maria Callas. Tutti rappresentati con colori molto diversi e accesi, quasi come se fosse un’esplosione. E l’artista di origini albanesi di emozioni forti ne conosce. Lui che ha vissuto la guerra civile in prima persona. “È come se fosse una parte della mia pelle”, racconta. Ecco allora che in alcuni dei suoi lavori toglie anche la bocca: “Perché quando c’è un dolore così forte che colpisce l’uomo si cancella l’espressione”. Ma non negli ultimi, in cui la faccia è mostrata al completo e sembra prendere vita.

Perché hai deciso di dipingere sugli specchi?

Nascono per dimostrare il processo che mi porta a realizzare i ritratti. E poi, andando avanti, mi è piaciuto molto come idea e sto cercando di fare qualcosa che si leghi all’animazione, con lo stop motion.

Come li hai realizzati?

Do lo sfondo di tempera. Poi uso due, tre strati di pastelli a cera, coperti con acrilico, e con delle spatole di ferro faccio alcuni segni verticali che si vedono nel video. Per alcuni effetti adopero anche dei pastelli a olio, ma quelli si mischiano al resto.

Come crei il video?

Mentre dipingo apro un’applicazione, che ogni venti secondi scatta una foto. Su Carmelo Bene, ad esempio, sono state 750 immagini. E così si crea l’animazione.

Perché hai scelto lo specchio?

È il ciclo della nostra vita. È anche legato al nostro modo di pensare cristiano. Noi pensiamo di essere eterni e invece non lo siamo. Siamo una specie della natura, non siamo i padroni della natura. La vita di una persona è quello che vedi nello specchio. E così può andarsene via. Costruisco qualcosa e poi la cancello, e infine rimane lo specchio.


Usi colori diversi e intensi. Quale preferisci?

Sono più vicino verso i colori d’acqua. Il verde. Perché il mio lavoro è legato alla nascita. Infatti dipingo molte donne incita e tante volte mi rivedono in una di loro, perché adoro questa parte dell’essere umano. 


Nel tempo hai variato nei generi di pittura. E hai dipinto anche sui muri, come nel caso del teschio.

Questo è un omaggio a Basquiat. Ma io non sono uno street art. La mia è una ricerca, anche del supporto. Alcune volte le persone dicono: “Come hai avuto l’ispirazione?”. Non esiste l’ispirazione per l’artista. Esiste una ricerca. Cerco sempre materiali nuovi. L’ispirazione è un atteggiamento passivo. È come dire: “Ho la speranza”. Io non aspetto, come tutti gli artisti, mi alzo la mattina e mi metto a lavorare.

Cosa ti trasmettono le superfici che utilizzi?

Il muro mi mette in difficoltà. Perché essendo un pittore penso a una distanza di massimo 5-7 metri. Il muro è diverso. Lo vedo da vicino ed è bellissimo il lavoro che ho fatto, vado da lontano e non si vedono i segni. C’è quindi un conflitto tra pittura su tela e pittura murale.

Una frase che hai detto di recente mi ha colpito. “Fai del tuo sentiero una grande storia d’amore”

Noi artisti come sentiero abbiamo quello dell’arte. E se non si fa di questo sentiero una storia d’amore, è veramente molto difficile. Qualcuno dice: “L’arte è la tua passione”. No, non è la mia passione. Come diceva Alda Merini: “Non ho scelto io di fare la poetessa, ma sono stata scelta prima di nascere”.

Questo ti permette di avere le energie per proseguire.

Sì. Poi penso che il lavoro dell’artista oggi sia molto difficile. Se vuoi vivere come artista, se non lo fai diventare una storia d’amore muori al primo colpo.

Quanto è importante il talento oppure conta di più la perseveranza?

Il talento è la base. Ma come dicono i grandi mastri: il talento è l’1%, il lavoro è tutto il resto. Se tu non lavori tutti i giorni, che non vuol dire lavorare fisicamente, ma anche con la testa, è fondamentali che non molli. Come Cezanne, che non ha riscosso tanto successo in vita, ma poi da lui è nato il cubismo. Ha creduto nel suo lavoro. Gli esperimenti li fanno gli scienziati, noi artisti facciamo delle prove. Per capire se nella nostra ricerca una cosa può funzionare. Cezanne ha creduto nel suo lavoro e ha continuato.

Un’altra tua frase è: “Bisogna mettersi in gioco dove non abbiamo una risposta sicura”.

Ti voglio raccontare una piccola storia dei uno dei più grandi pittori viventi: Richter. Andava in studio e non aveva voglia di dipingere. Ma visto che ogni artista ha un rituale, ha detto: oggi non ho niente da comunicare, mi metto a dipingere il grigio. E ha fatto una serie di grigi stupendi. Non è stato ad aspettare. Tante cose belle iniziano anche per gioco.

Qual è il tuo pittore preferito?

Non c’è n’è uno, ma il mio primo amore è stato Van Gogh. Perché ha cominciato a dipingere alcuni quadri che mi piacciono quando è andato dalle famiglie di minatori, perché voleva vedere la sofferenza. E anche io ho cominciato a dipingere andando nelle case di riposo. I miei non volevano che facessi il pittore. Ma io andavo lì a 14 anni, dopo la scuola, a disegnare gli ospiti. E osservando le persone che soffrivano disegnavo.


Come hai scoperto del talento?

Quando sono stato ricoverato all’ospedale. Sono rimasto due settimane. E per passare il tempo mi sono messo a disegnare. Avevo 10 anni. Ti voglio dire un’ultima frase: “Non si impara il Kong fu per saper vincere, ma per saper perdere”. E se non si sanno accettare i fallimenti è difficile fare del sentiero che si sceglie una grande storia d’amore.