I giganti della montagna stregati dalla magia di Lavia
Pezzi del parapetto poggiati a terra, intonaco portato via e lunghe crepe sui muri. Il teatro versa in condizioni critiche. Ma non è l’Eliseo a trovarsi in questa situazione, è il palcoscenico in cui si specchia la platea e dove gli spettatori vedono un’immagine di sé diversa da quella che si aspettano: decadente e in rovina.
In questo luogo, apparentemente sconfortante, vi è tuttavia ancora vita e magia. Ad animarlo un gruppo di attori scappati dalla realtà e rifugiatisi nel sogno di un mondo capace ancora di apprezzare la poesia. Fantasmi di una terra di giganti – tutta muscoli e denaro – preservano la loro abitazione spaventando coloro che si avvicinano. E quando si fa incontro la compagnia della contessa Ilse, gli spiriti provano a intimorirla, ma non riescono a fermarla. Condividono infatti stessa essenza e bisogno, quello di mettere in scena l’arte della bellezza. Ilse potrebbe aver finalmente trovato il posto adatto per rappresentare la sua opera, là dove sarebbe compresa e apprezzata. Ma la sua sfida è più grande: vuole essere applaudita da tutti, anche da quei giganti che nella poesia vedono solo una perdita di tempo. La sua ambizione dovrà però fare i conti con una paura più grande di lei.
È questo l’ultimo passaggio scritto da Pirandello in questa sua opera incompiuta. Quel “ho paura” pronunciato dalla contessa Ilse suona come un grido disperato del drammaturgo siciliano, pronunciato prima di lasciare questo pianeta. Lui, che era stato iniziato alle sedute spiritiche da un suo conoscente, cominciava a sentire sempre più vicino l’aldilà e sempre più lontano quel mondo da lui profondamente cambiato, temendo che tutto ciò che aveva fatto potesse andare perduto.
Della versione dell’opera proposta da Lavia è difficile perdere un dettaglio, così come non è facile dimenticarsi una sua rappresentazione. Ogni scena è un quadro di pregevole fattura, di uno spettacolo che diventa un museo teatrale in movimento. Nei panni di Cotrone, il mago che guida le anime che popolano il fatiscente teatro, Lavia spoglia il suo personaggio di qualsiasi gravità, rendendolo leggero e poetico. Ne viene fuori una messinscena che restituisce un’immagine diversa da quella che appare sul palco: di un teatro vivo e bello più che mai, dove l’arte trionfa sui giganti della montagna.
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