Un elogio a Guido Ceronetti e al silenzio del corpo
Un libro, un grande libro, è un forcipe che trascina nel mondo del possibile; è una falla non turata, una ferita sanguinante luce sul corpo muto della storia umana. Un libro, figlio abortito del suo autore, reca in sé il segno, la filigrana chiarissima di quella paternità.
Già solo sfogliando senza criterio Il Silenzio del corpo (Adelphi, 1979) si attraversano le gallerie ricolme d’erudizione infinita, i sentieri vertiginosi delle consapevolezze ultime, le melme borboglianti di parole antiche e oscure, i cieli notturni del più alto pensiero che riempivano il cranio di Guido Ceronetti.
In questo breviario sulla vita e sulla morte il Filosofo Ignoto si cala nei pozzi bui del corpo, nei suoi anfratti più remoti e refrattari al lume terapeutico della verità. Il filosofo-medico Ceronetti viviseziona il male umano, squarta col bisturi del suo pensiero le misere carni umane tentando di strapparne un senso inafferrabile, in attesa che si squarci il velo delle apparenze e si riveli il vero senso di questo corpo-simbolo che, ineluttabilmente, siamo. Nella giungla di simboli del Tutto, macrocosmo e microcosmo hanno il medesimo peso per l’occhiale divinatorio di Ceronetti, che esplora scritte di pederasti in qualche lurida latrina e vecchi trattati di psichiatria ottocenteschi, movimenti intestinali e Buchi neri, il ronzare di mosche e zanzare e le malefiche arringhe hitleriane, l’odore dell’armadio di un albergo decaduto e il mistero odoroso del fungo e della rosa.
Quel “céliniano di Porta Palazzo” è una scia di luce abbagliante che trapassa la notte dell’uomo moderno. Come il medico dei poveri di Courbevoie, il dottor Destouches, Ceronetti svergogna la parola, scoperchia la verità profonda e ambigua asserragliata in quei silenziosi segni. La parola di Ceronetti, segnavia verso una vita quanto più possibile autentica, si sporca le mani col Male, anche nelle sue evidenze fisiopatologiche, con la morte e i tessuti cadaverici dell’uomo e del suo destino. Ceronetti è un astro altissimo che scruta ancor oggi - a distanza di oltre due anni dal suo trapasso e di oltre quaranta dalla prima edizione di questo suo libello - l’uomo che brancica tra i fumi asfissianti delle metropoli, sopra le ceneri del sacro, nella quotidianità disumanizzata dalla tecnica.
Il Filosofo Ignoto schiaffeggia con sapienza antica quest’omuncolo del suo e del nostro tempo, amputato delle sue fragili ali, e ne rivendica la divinità e tragicità «in faccia alla stupidità e al silenzio». All’interno del suo tessuto tragico, Il Silenzio del corpo nasconde l’ironia cupa, le curiosità erudite di un umanista eclettico, un raffinatissimo traduttore, maestro della parola esatta e urgente, fustigatore singolarissimo della banalità, dell’infingimento consolatorio e di ogni bruttura materiale e morale. Il Silenzio del corpo è un libro in cui perdersi, da abbandonare su qualche comò per inciamparci ancora infinite volte senza mai giungere nelle sue profondità più riposte.
Indegno di un esercizio di ammirazione alla portata di questo mirabile scrittore, lascio, a chiusura di quest’umile elogio, una delle tante «scheggine d’osso», tolte dal «buio di quaderni-tomba», conficcate nelle pagine di questo prezioso libello:
“Certi demoni abitano specialmente nelle latrine, insegnavano i talmudisti. E anche in quelle di una Università Cattolica, dove qualcuno, rimasto sconosciuto, ha ucciso una ragazza con trentatré coltellate (Milano, luglio 1971). Chi abbia commesso un delitto in questi luoghi, potrebbe essere giudicato irresponsabile, avendolo i demoni latrinari costretto a uccidere, così anche la demonologia potrebbe essere utilizzata dai legali per paralizzare il diritto penale. Guai a mancare di Custode! Sovente è una povera vecchia, ma non importa che ci sia forza: in quanto custode è un esorcismo vivente, un essere neutro, refrattario, inattaccabile dai demoni. La moneta che diamo alla Custode di latrine pubbliche è un compenso per la sua attività apotropaica, una offerta alle sue mani protettrici, che i volgari credono soltanto distributrici di carta igienica.”
Grazie, Guido Ceronetti.